Margin Call - J.C. Chandor, 2011

sono rimasto estasiato da questo film, intenso e duro. Recitazione a livelli di eccellenza, molto sobria, misurata, compita (andrebbe proiettato in loop nelle scuole italiane di cinema).

La storia ti inchioda alla poltrona nonostante fondamentalmente tu non capisca un’acca di quello che i personaggi dicono, a meno che tu non sia un addetto ai lavori. Il gergo è di finanza supercazzolata con sbirigudi e terapia tapioca, strettissimo; roba che Wall Street di Oliver Stone è Bambi. E la grandezza di Margin Call è proprio quella, se riesce a ipnotizzarti come fosse un thriller hitchcockiano pur parlando di ricapitalizzazione, mercato, azioni, prodotti assicurativi e brokeraggio, significa che: 1) l’esordiente Chandor ha le palle a forma di spread; 2) gli attori sono dei grandissimi.
Mi ha fatto un gran piacere ritrovare anche Demi Moore, che, seppur pelle e ossa, mantiene inalterato il suo fascino.

Delizioso come tutti i vari dirigenti della “società”, di livello in livello, si affrettino a precisare che di finanza non ci chiappano granché e vogliano la pappardella spiegata piano e chiaramente, come ad un bambino di 6 anni (lo dice Jeremy Irons, gran capo faccendiere supremo). L’idea è proprio che questi gran giocatori di Monopoli abbiano fatto esperimenti da piccolo chimico per anni, senza avere la minima idea degli effetti collaterali e delle conseguenze, per poi lasciare il pianeta nello sterco fino al collo, tra indebitamenti, bolle e proiezioni sbagliate.