[LEFT]L’attrice è produttrice e voce narrante del documentario “Negli occhi”, in concorso a Venezia nella sezione “Controcampo italiano”, nel quale ricostruisce la storia di Vittorio Mezzogiorno
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[SIZE=5]Giovanna Mezzogiorno “Alla ricerca di mio padre”
[/SIZE]“Ci assomigliamo molto ma papà era più mondano.
Io sono più chiusa ma mi riconosco nella sua passione e curiosità”
La osservi, gli occhi chiari profondi, e vedi il padre. Per tutta la vita Giovanna Mezzogiorno ha visto riflesse, nello sguardo degli altri, curiosità e tenerezza “e lo capisco, perché io e papà ci assomigliavamo, anche se siamo diversi. Ho i suoi colori, a volte ripeto i suoi gesti. Così mi dicono”. L’attrice più premiata del cinema italiano, 35 anni, abbassa lo sguardo. Il padre, Vittorio Mezzogiorno, è morto nel 1994. Aveva 52 anni. “L’ho cercato, come tanti che perdono un genitore da giovani, nelle parole degli altri, nei ricordi. Questo documentario è stato fondamentale per me, l’ho ritrovato: oggi sono serena”. S’intitola Negli occhi, il viaggio sentimentale di Giovanna; un puzzle di ricordi privati (filmini di casa, pranzi, viaggi) e un omaggio al grande attore, ritratto di un uomo solare e complesso. Diretto da Daniele Anzellotti e Francesco Del Grosso (“è stato lui a scegliere il titolo, mi sembra perfetto”) il film, che sarà in concorso nella sezione “Controcampo italiano” alla Mostra di Venezia, vede la Mezzogiorno nel ruolo di coproduttrice con la Vega’s Project (sarà distribuito da 01), voce narrante e intervistatrice. Accanto alla sua testimonianza e a quella della madre Cecilia Sacchi, Francesco Rosi, Peter Brook, Marco Bellocchio, Giuliano Montaldo, Mario Martone, Michele Placido, Carlo Lizzani, Marco Tullio Giordana.
Giovanna, un anno di lavoro così vale dieci anni di psicanalisi.
“L’idea del documentario non è stata mia, ma di Daniele, che è stato il mio compagno per sei anni, e Francesco. Ho sempre evitato qualsiasi tipo di retorica, ma quando me l’hanno proposto mi è sembrata un’idea bella. Quella di papà è stata una vita particolare, piena di passione, rigore, umiltà; il suo modo di approcciare questo lavoro è un’iniezione di idealismo e grinta. Una lezione in un panorama in cui tanti sono schiacciati dall’arrivismo”.
Cosa l’ha colpita nelle testimonianze?
“L’amore. Papà era molto amato… Sembra passato poco tempo da quando se n’è andato. Come testimoni ho scelto persone che hanno avuto un peso nella sua vita; io ho perso un padre, ma ognuno di loro ha perso qualcosa”.
Il documentario non è un collage d’interviste, ma un film.
“Abbiamo cercato di fare un percorso: la storia di mio padre è quella di un uomo che da un piccolo paese della provincia di Napoli arriva a lavorare con Brook, Gitai, Chereau; con la Piovra diventa eroe popolare e all’apice della carriera muore. Ma non abbiamo fatto un santino su papà, vengono dette anche cose negative, non aveva un carattere facile, non era un cuor contento. È un ritratto vero”.
È stato difficile realizzarlo?
“Ci siamo trovati nel caos per le cose pratiche, sottotitoli, luci, sonoro, è stata un’avventura ma ne sono fiera, ci siamo autoprodotti per essere liberi. Si fa presto a dire: “Filmiamo una grande cena familiare nella casa di campagna!” Illumini la sala, arrivano i parenti, e chi cucina? È un lavoro che ha delle imperfezioni, è il suo bello. Abbiamo scritto le interviste, preso i super 8, chili di cassette a Milano, c’è anche papà che mi canta una canzone. Per questo ci abbiamo messo un anno”.
Suo padre era un uomo inquieto.
“Tutti mi hanno detto la stessa cosa: Vittorio aveva la capacità di condividere, non creava competizione in un ambiente in cui la competizione è forte. Poi sì, era inquieto, anche dal punto di vista sentimentale. Ho scoperto di avere una sorella a 14 anni, età in cui non ti senti per niente sicura, hai bisogno di tanto amore per la tua autostima. Ho sofferto molto. Ma oggi con Marina siamo legatissime, vive negli Stati Uniti, la vado a trovare. Mia sorella è identica a papà, nel film fa impressione”.
Sua madre Cecilia Sacchi viene da una grande famiglia intellettuale del nord; suo padre era un uomo del Sud, ambienti molto diversi. Lei a chi assomiglia di più?
“Loro si sono amati molto, hanno litigato molto. Si sono scannati, diciamo la verità, erano una coppia faticosa. Giordana dice: “Quando andavi a casa loro, era la casa di Vittorio e Cecilia”, non avevano perso l’individualità. Era un legame eterno. Venivano da due mondi opposti che si sono fusi. Io sono un mix tra loro due. Dentro ho due mondi: ho molto della borghesia nordica e molto della cultura partenopea”.
A quale mondo si sente di appartenere di più?
“A quello di mio padre, ma nel lavoro ho il germe di mia madre, il savoir vivre me l’ha insegnato lei. Con un background così puoi stare dappertutto. Sono più riservata di mio padre, papà era più mondano. Io mi espongo nel lavoro, non nella vita privata: non tengo banco a tavola, non sono leader, non sono tiratardi. Non mi vedrete mai tornare a notte fonda con i sandali in mano”. di SILVIA FUMAROLA (6 agosto 2009)
http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/spettacoli_e_cultura/giovanna-mezzogiorno/giovanna-mezzogiorno/giovanna-mezzogiorno.html