un rewatch immeritatamente temuto e arginato per tre lustri. o forse è stato giusto lasciar decantare così tanto, dato che effettivamente in termini di impatto visivo i vari koch, eluti (al quale non si è mai data, nell’ambito del cinema che si spinge davvero in là, la meritata attenzione: il suo visceral è davvero tantissima botta) e six accorsi poco dopo a rinverdire l’estremo (ci sarebbero anche ortega e dora ma qualitativamente non me li pongo punto) hanno fatto inghiottire le polveri all’allora più o meno giustamente bistrattato spasojevic, che de riffa o de raffa, per rivalutato che sia addì 2025, non è ancora sorpassabile sul concetto e su come questo vada a moltiplicare i suoi eccessi tra multipli e sottomultipli, accatastando fin quasi al grottesco (quando vukmir urla a milos “sfrutta la magia unica del rigor mortis” non ho potuto fare a meno di ridere, ponderato o meno che fosse l’effetto comico - e andrebbe anche visto se è stato tradotto correttamente, anche solo per il fatto che il rigor mortis inizia almeno 3-4 ore dopo il decesso). anche se poi per carità, è la realtà stessa a insegnarci che non esiste un peggio limite. mai.
il concetto di fondo, meglio sondato con gli occhi spettatoriali di oggi, è in soldoni che ogni patria è una nazione incestuosa che stupra i propri figli (la serbia in particolare, anche se per fortuna non ci si addentra a lavare in piazza i propri panni sporchi buttandola su un qualunquistico discorso di recente storia contemporanea). quindi, in estrema sintesi: i potentati istituzionali (apparato di difesa in primis, si vedano i cameraman vesititi da miliziani/poliziotti) ci fottono alla nascita, ci fottono per tutto il resto della nostra vita e non contenti e non fosse bastato, ci fottono anche da morti. per tutta la durata del nostro stare qui, non siamo che immagini da sfruttare; e per sfruttare l’immagine vanno anzitutto devastati i corpi e l’anima/la psiche di chi li occupa. è il cinema stesso a ribadirlo dagli anni 70 e il concetto viene proprio rilanciato facendo del villain un regista di sexploit estremo che teorizza il reale come massima forma di estetica raggiungibile, con un occhio di riguardo insomma ai cinereporter di cannibal holocaust (dalla bocca di vukmir esplicitamente citato nel sottofinale belluino).
a cosa somiglia oggi ASF rivisto a 15 anni di distanza? di getto, vien da dire a un indemoniato 8mm riprocessato dal noè più deragliato.
per quanto rincorra contenuti e sostanze posticce, è un film fatto di esasperazione delle forme prima ancora che dei concetti, e sono sempre in qualche traverso modo queste a giungere alla corteccia prima della tortureporn fest. ed è un film veramente scaltro nel suo attirare nella tagliola per orsi lo spettatore: lungo la prima ora, infatti, è tutto dosatissimo e quasi centellinato (per quanto - sia chiaro - mai veramente sussurrato: spasojevic non tocca mai nulla con mano leggera e non c’è un frame dove prova ad andare per il sottilissimo, letteralizzando tutto quel può). tutto è a salire gradualmente, senza mai perdere l’occhio l’ambiguità e la morbosità, al punto che lo spettatore vergine che vi si accosta con l’hype dell’assetato di estremo può sbottare il suo bravo “embè?” (e nel caso, non considerando distrattamente quanto sia più insidiosa e disturbante e malata tutta la tranche preparatoria delle prime riprese). è un colpo di dadi vincente, perché quando si arriva ex abrupto all’infamia si è troppo accalappiati dalla tavola apparecchiata e dagli onori di casa e dai profumi che vengono dalla cucina per rifiutare il pasto fino al dessert (e fino a lì, scordatevi di aver addentato e inghiottito il boccone più avvelenato). da lì scatta di colpo e impietosa la morsa e tutto va progressivamente fuori controllo, mantenendo però inalterata l’esasperazione controllata della forma. ma occorre dirlo, la parte più riuscita sta nel lungo preliminare e non nell’orgasmo, che pure non poteva esplodere altrimenti date le traiettorie narrative fin lì predisposte.
personalmente la revisione mi ha curiosamente caricato a pallettoni e - diversamente da quanto invece temevo fino a ieri - per niente annichilito rispetto alla prima volta del 2010 (che era però, ricordiamolo, spoiler free e a tutto effetto sorpresa, con punte di esacerbazione grafica abbracciata a quella concettuale che non si erano mai spinte di decametri così oltre il bordo del rappresentabile). rivedendolo a bocce ferme, ricordando passo passo quasi tutte le scene, nel suo status da supericonico e ricordandosi che è soprattutto un prodotto estetico, concentrandosi cioè su tutto l’insieme degli impianti (quello attoriale, quello scenografico, illuminotecnico, fotografico, sonoro) fa molto meno male della prima volta anzi è una traversata quasi euforica. il che non vuol beninteso dire che per i non avvezzi e per chi ancora ci arriva quasi vergine e sapendone poco non siano fior di coltellate ovunque a colpi di rigirato kriss malese e il resto mancia.
a proposito di fronte sonoro: guardando sistematicamente il dito delle famose due scene infami e non la luna estetica, nessuno si sofferma MAI (mai davvero, non ho mai letto commento o recensione che ne parlino adeguatamente e con l’entusiasmo che meriterebbe) sulla ost a opera di wikluh sky (che essendo sostanzialmente un rapper, ti chiedi davvero come sia riuscito a concepire un poderoso bulldozer di colonna sonora simile), che è S T R E P I T O S A e ascoltata con cuffie pro rende il film un ipertrip (chissà cosa doveva essere in sala) e diciamo pure che esattamente come in suspiria, fa il grosso del lavoro assieme al restante lavoro di fino sul suono, sempre potentissimo; per cui raccomanderei a chi ancora deve vederlo di esperirlo coi suoi giusti volumi belli bombi, possibilmente supportati da casse o cuffie di punta.
a tutti coloro che ebbero reazioni a caldo di diniego filtrate da questioni morali, consiglio di dargli udienza prendendolo per quello che alla fine dei conti è: un prodotto cinematografico. al tempo si potevano avere sentimenti continuamente contrastanti e ambivalenti sul film (io passavo senza soluzione di continuità dall’esserne convinto alla reazione contraria). rivisto ora, per quel che mi riguarda, i dubbi sono pochi: è un’opera potentissima, assai paracula, incredibilmente ben fatta per essere un esordio con le sue difficoltà del caso, senza mai un cedimento o una naïveté. a questo punto ne attendo curiosissimo il documentario.