An American Werewolf in Paris - Un Lupo Mannaro Americano a Parigi (Anthony Waller, 1997)

Lo vidi quando uscì e lo trovai gradevolissimo e divertente nonostante tutti lo avessero bollato come una fetecchia.
Rivisto quasi vent’anni dopo l’ho trovato ancora meglio e non capisco perché sia stato così bistrattato. Anzi, il motivo è abbastanza evidente e infatti che trovo che il titolo sia il limite più grande di questo film che altrimenti sarebbe un onestissimo film di lupi mannari con un gran ritmo e un’atmosfera riuscita. Gli effetti digitali non sono male (con tutti limiti dell’epoca, nel 1997 c’era ancora tanta strada da fare) e, anzi, il loro essere fumettosi li rende ancora più divertenti.
Non ci sono tutte le sottigliezze dello “scontro di civiltà” che impreziosivano il capolavoro di Landis e qualsiasi altro paragone con l’ineguagliabile film dell’81 è improponibile ma resta il fatto che questo film è più che buono.
Waller era uno in gamba, peccato che non abbia più fatto granché. Nella scena della metropolitana viene citato tramite un poster il suo film precedente, l’ottimo Mute Witness.
Nel cast Julie Delpy e Pierre Cosso (!).

Ho il dvd italiano (in jewelbox, tra l’altro) di qualità accettabile e con un po’ di extra tra i quali spicca un finale alternativo.

Tutto sommato, abbastanza buono. Certo, non vale un’unghia rispetto al film di Landis, e il protagonista Tom Everett Scott non suscità nè la simpatia nè l’empatia di David Naughton (che era sempre credibile, nei momenti leggeri come in quelli “di sofferenza”…), ma si lascia vedere volentieri. Waller aveva appunto girato il bel “Gli occhi del testimone”, e registicamente nemmeno qui delude, dimostrando buona mano. Nel cast, il meglio viene da un irriconoscibile (rispetto a “Il tempo delle mele 2” e “Cenerentola '80”, almeno…) Pierre Cosso, con cranio rasato, pizzo e bei muscoli in vista. Alquanto deludenti, invece, gli effetti di trasformazione: il digitale (scarsino già all’epoca, sinceramente) sfoggiato non è nemmeno lontanamente paragonabile al sapiente lavoro di Rick Baker. Comunque, nel complesso, un film che non merita la pessima nomea che troppi gli han voluto attribuire nel corso dei decenni…
P.S. Waller ha poi diretto “The guilty” nel 2000, “Nine miles down” nel 2009, un documentario nel 2010, e stop. Boh…

Vabbeh, il paragone col lavoro di Rick Baker è completamente improponibile, così come qualsiasi paragone col film di Landis, questo è ovvio… Gli effetti digitali, però, avevano un’ottima realizzazione tecnica, quello che era bruttino era l’aspetto dei lupi (che poi a me nemmeno dispiace troppo) e il concept delle trasformazioni, però tecnicamente erano degli effetti molto ben fatti.
Il risultato finale è stato come chiamare dei bravissimi musicisti a suonare una canzone mediocre, diciamo.

Su questioni tecniche ne sai certo più di me, caro Giorgio, ma da profano ti assicuro che ancora un 17 anni fa, vedendo il film in vhs, degli effetti di trasformazione pensavo “Che mezza cagata! Non impressionano nessuno…”. Del resto, le trasformazioni digitali in licantropo hanno una riuscita problematica, per usare un eufemismo: vedi anche “Cursed” di Craven. Se vuoi usare la cg, devi comunque integrarla col caro vecchio make-up: su “Wolfman” di Johnston si possono dire tante cose, ma i suoi lupi mannari erano realizzati come Cristo comanda!