Viene da Shamo il backstage nel documentario L’urlo di Chen… (Dragonland). L’ho scoperto mentre vedevo un trailer su internet, non lo sapevo a Hong Kong: erano le 2 di notte e nessuno della troùpe parlava inglese (infatti l’intervista a Bruce Liang tra un ciak e l’altro è in cantonese). Quando ho chiesto che film fosse, il regista mi aveva detto “The last two days”: lo credevo il titolo, invece intendeva dire che erano agli sgoccioli.
Non seguo i manga, pare che Shamo sia molto trucido, non so il film,
comunque sono contento di aver incorporato involontariamente questa contaminazione.
Per Stubby & Co.: abbiate pazienza ancora un po’, entro marzo siamo pronti; lo so’ che ci hanno messo di meno a montare Titanic, ma là avevano i soldi!
Stiamo ricontrollando tutti i sottotitoli italiani delle interviste in cantonese, che sono la cosa che è costata più tempo e fatica (e non escludo comunque errori di traduzione letterale, non concettuale).
Clips dai film Mad Monkey Kung-fu, 36th chamber…, Challenge of the masters, Executioners from Shaolin, Big Boss, Fist of Fury e vari cult del b-movie marziale anni '70, tra cui Cin-Fu l’uomo d’acciaio, Ku-Fung lo sterminatore cinese (Wang Yu), Tayang (ancora Wang Yu), L’uomo di Pechino, Billy Chang, ed altri, rigorosamente vintage, graffiati, puntinati (assenti i kung-fu moderni perfettini; qui siamo nel clima barbarico delle purtroppo sparite seconde visioni anni '70.)
IL documentario è suddiviso in 9 capitoli (numero cabalistico cinese), ciascuno introdotto da una frase di lancio splendidamente smargiassa dei film di allora; si parte con uno spaccato veloce su Hong Kong come città-humus del filone, poi un volo d’angelo sul kung-fu come arte marziale (intervista al M° Lam Chung Sing, discendente di Wong Fei Hung), poi la Danza del leone in occasione del 97° compleanno del decano del kung-fu, Lam -the living legend- Jo; dunque si entra nel vivo con i vari capitoli sul cinema con quasi 30 interviste spezzettate per argomenti (dal muto agli Shaw, da Chang Cheh a LCLiang, dal wusha al gongfu), a gente che ci ha lavorato e non, con clips video e/o audio (anche delle mie vecchie interviste a Brandon Lee e JChan). Dagli intervistati emergono citazioni delle star defunte: da Lo Lieh a Fu Sheng, a Kao Kang (il Cattivo di La Treccia che uccide, assassinato da un poliziotto di Hong Kong). Comunque il tono è generalmente divertito, anche se non mancano momenti di riflessione (la visita alla ex-casa di Lee trasformata in un bordello; la statua come tardivo omaggio di una città che aveva dimenticato Lee, mantenuto vivo paradossalmente da…noi occidentali!); la visita al College di Lee, con interviste ai suoi ex-compagni che oggi insegnano là e le foto dell’album della scuola.
E, ovviamente, su tutti svetta Liu Chia Liang, che racconta aneddoti dei suoi film ma anche amarezze d’una città che lo ha dimenticato da vivo. Mai sottovalutare l’ignoranza dello spettatore cinese medio sul suo stesso cinema, sulla sua cultura (non sanno chi era King Hu, per dirne una, e se andate all’HK Film Archive può capitarvi l’impiegato che non sa di quali film stiate parlando e non li ha mai visti, benché Shaw Bros. Insomma ragazzi dobbiamo rivalutarci: è grazie a noi se una certa memoria di quel filone di allora è stata mantenuta; Liu Chia Liang lo conosciamo più noi che il pubblico di laggiù, garantisco!).
Presenti ovviamente flani, posters, locandine dei kung-fu rigorosamente anni '70 e prese anche dai quotidiani, collezionate in 30 anni. Insomma non sarà l’avarizia la pecca di questo sforzo durato quasi un anno. A presto.
PS. Altra conferma ufficiale: Gordon Liu viene a Roma a giugno, probabilmente ai primi. In suo onore una serata marziale riservata a praticanti e semplici curiosi e una serata di cinema organizzata da me, riservata al pubblico. Più in là i dettagli.