Buio (di Emanuela Rossi 2019)


//youtu.be/ZmtruJIclfo

Un uomo vive con le 3 figlie segregato in casa. Solo lui può uscire, fuori il sole è radioattivo e la specie umana in via di estinzione. E’ vero o è solo una sua paranoia?

Sbandierato qui a a Torino come il primo film proiettato al cinema dopo la pandemia al Massimo (il cinema dietro all’università) con gran profluvio di articoli su la Stampa e di servizi entusiastici al Tg regionale, con tanto di collegamento fuori dalla prima con presente il cast e baci e abbracci e tutte le seghe del caso, purtroppo questo film torinese è un flop colossale
Spacciato a destra e sinistra come thriler psicologico, siamo più dalle parti del drammatico che sfocia in una punta di follia…ma di thriller…anche psicologico, non c’è traccia

Il film purtroppo nasce già vecchio e al minuto 7 e 50 secondi abbiamo già capito l’antifona. Solito terzetto di ragazzine rinchiuse in un ambiente dal padre-padrone con la scusa delle radiazioni, resta da capire se il padre c’è o ci fa e fino a che punto. Sappiamo già che assisteremo a tutto il campionario delle solite situazione sospese tra il survival e il plagio psicologico con, in questo caso, qualche spruzzata di ambiguità che fino all’ultimo ci farà domandare se il padre molesti anche sessualmente le figlie
E come da copione tutto questo arriva, come se ne 2020 fosse il primo film che si fa di questo genere

Ci si aspetta ovviamente il finale a sorpresa perchè il film prosegue su binari davvero troppo classici. Stilisticamente la Rossi fa il compitino, non ci mette nulla per essere ricordata come regista, non ha un suo stile, nella monotonia di un unico ambiente chiuso e scuro non ricerca sicuramente la forma, gira con stile asciutto attenta a non sbavare e si attiene alle 4 cose di regia che ha imparato.
E la storia si trascina in modo assolutamente prevedibile sui binari del genere
Per poi sbracare completamente a metà film

Qui qualcosa deve essere andato storto in fase di scrittura perchè si perde totalmente la bussola e ci si lascia andare alla sagra del non-sense unita a quella del già visto

Solitamente in un film del genere su situazioni famigliari distopiche il finale dovrebbe risollevare il tutto con un colpo di scena che ribalta l’idea che lo spettatore si è fatto fino a quel momento, E anche in questo caso si tenta di tenere fede allo schema, ma si cade di nuovo nel grottesco con un finale che io ho trovato davvero respingente e scritto malissimo
Peccato, sarebbe bastata un po’ più di cura in fase di sceneggiatura perchè gli attori ci stanno anche se il tema lascia un po’ il tempo che trova. Il film nel 2020 lo considero ormai fuori tempo massimo, abbastanza retorico e inutile. nel senso che su certi temi credo si sia già detto molto, ma è un mio parere personalissimo e se ci fosse stata dietro una sceneggiatura degna di questo nome, il film avrebbe avuto comunque una sua dignità

Forse come mediometraggio avrebbe avuto più fortuna, dilatarlo sui 90 minuti non credo sia stato semplice
Finale tra l’altro rovinato dal pezzo hip hop di Dexa che non è male in sè, ma che non c’entra nulla in quel momento. Sia come testo che come sonorità, ed è un altro errore non da poco. Perchè mentre tu sei lì che pensi alla vicenda non puoi far partire un pezzo hip hop (tra l’altro già messo prima) con un testo urban/girl power che fa a botte con le immagini del finale che scorrono sullo schermo. Questo è un errore da dilettanti, che, da uno che organizza live dal 95, non perdono. Bisogna saper usare un minimo anche la colonna sonora a disposizione

Leggevo in giro che qualcuno fa dei parallelismi tra questo e il capolavoro The Nest. Entrambi film torinesi, entrambi in famiglie distopiche, entrambi c’è la segregazione, in entrambi c’è la paura ad uscire…ma The Nest è un capolavoro assoluto, con ottimi attori, una location mozzafiato, una scrittura con i cosiddetti ecc…questo è un filmetto indipendente che in alcuni momenti avrebbe anche velleità autoriali, ma scritto malamente e assolutamente non necessario