Il film in sé non è niente di eccezionale: è leggero, scanzonato, un po’ sciocco ed anche frettoloso in certi passaggi narrativi.
Al tempo stesso è gradevole e scorre via infretta, e soprattutto ha il merito di mettere al centro una tematica significativa che generalmente non viene approcciata dal cinema.
Due fratelli per parte di padre, che non si vedono e non si frequentano dai tempi dell’infanzia, sono richiamati dalla Francia nelle Antille da una telefonata che gli comunica che il genitore giace in fin di vita.
Arrivati giusto in tempo per vedere il vecchio spirare, ricevono da lui come unica eredità l’antico documento che attesta che i loro antenati sono stati affrancati dalla schiavitù, e che loro e tutta la loro discendenza sono considerabili ora uomini liberi.
I due, che speravano in qualche soldo, delusi strappano in tanti pezzettini il documento, che considerano inutile visto che al giorno d’oggi si gira un po’ dove si vuole senza particolari limiti.
Una vecchia fattucchiera allora li rimanda indietro nel tempo all’epoca della schiavitù, dove vivranno vicende caratterizzate dallo sfruttamento, dalla violenza e dalle angherie.
Le ingiustizie e l’assurdità della condizione di schiavo, provate in prima persona sulla propria pelle, faranno comprendere ai due il vero valore dela libertà e l’immensità dei sacrifici svolti dai loro antenati.
Carino, nulla più.