Copenhagen Cowboy (Nicolas Winding Refn, 2022)

Su Netflix…
L’avevo vista al festival di Venezia, in un binge watching da 5 ore sul grande schermo, e ricordo che non mi era piaciuta per niente. L’avevo trovata un cialtronesco tentativo di clonare l’estetica alla Kill Bill con le atmosfere stralunate alla Twin Peaks, con un finale che aggiungeva pure il gotico nel calderone… Ma mi era sembrato tutto così falso, furbesco, studiato a tavolino e non un sincero omaggio ai Maestri Tarantino e Lynch…

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avete già detto alla straperfezione tutto voi. paccottiglia tutta sterili estetismi da mazzo di scope in culo, un atteggiarsi a neo-oltre-lynch in imbarazzanti mischiotti con la marvel, esasperatissime cromotronie da pluriorzaiolo (sparate anche fuori campo: ma stai calmo, santiddio!), pause tra una battuta e l’altra che neanche la zingara cloris sotto metadone, la rigorosamente monoespressiva protagonista corinna borisiana del lotto (pare la vocalist dei ladytron in perenne crisi depressiva). più che una miniserie mi son parse 6 sedute di ipnoterapia, mi avrà preso una botta di narcolessia almeno 4-5 volte a puntata (va pur detto che sto clima illegale non ha certo aiutato). l’esacerbazione del più pneumatico nulla. vien quasi da fustigarsi pubblicamente per aver stroncato neon demon, a confronto un obelisco di sobrietà. si salva giusto la ost, a mio gusto bellissima ma palesemente pecettata su una clamorosa mancanza di pregnanza. nell’umido coi guanti il resto. a refn l’incontro con jodorowsky j’ha fatto malissimo, altroché.

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