SCONSIGLIO LA SEGUENTE LETTURA A CHI NON HA VISTO IL FILM IN OGGETTO.
(Non che io racconti delle peripezie della vicenda ma la particolarità del costrutto narrativo è tale che mi sono trovato obbligato a svelarne alcune logiche; chiedo venia)
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Finalmente il Grattarola s’è deciso a passarmi la sua copia
Vabbè i difettucci ci sono. Alcuni fuori-sincrono, audio mancante, pixel a mosaico e accelerate di immagine.
Ma ho benedetto comunque questo dono.
Sul fogliettino allegato al dischetto il Franco mi scrive: Merdè (così mi chiama in onore della mia somiglianza che fu ad un noto e bellissimo attore francese), uno il coraggio non se lo può dare da solo. Guardatelo di giorno. Siedi ad un passo dalla finestra illuminata. Prenditi il cane, prenditi il gatto e piazzateli lì. Silenzia il cellulare che se suona durante la visione ti piglia uno strambotto. E fatti forza Merdè… Fatti forza!
Franco ti assicuro che i tuoi consigli li ho puntualmente seguiti alla lettera!
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Ed è così, senza sapere nulla di nulla del film, del regista, degli attori o delle vostre opinioni (che in genere mi bevo sempre “dopo”), che ho attaccato il ballo.
Prime sequenze che già urlano fortissimo.
Non è il film che mi aspettavo.
Quel titolo che puzza esageratamente di b-movie ne depista i forti e raffinatissimi aromi.
Immediatamente incontro la protagonista del film.
La Morte di “rosso” vestita. Quel “rosso” che metronomicamente segna l’incedere dell’ineluttabile.
C’è il rosso della mantellina, il rosso della goccia di sangue, il rosso di un capo steso ad asciugare su per le calli, il rosso che sprizza dalla giugulare.
Ma che è?
Il paradiso della semantica?
Devo forse perdermi nell’oblio di tutti quei segni sparpagliati per ogni dove?
Evidentemente no.
Il film è tutto un continuo depistaggio.
Una sveglia impazzita che ci mostra le lancette correre e ancora correre verso l’ora in cui si metterà a suonare…ma l’ora della sveglia, in realtà, è già passata da un pezzo.
Il regista è maestro nel creare uno spazio fisiologico ove costringere lo spettatore. Una bolla di vuoto in cui chi guarda è confinato e torturato a piacimento. E’ una dimensione di gelo, meravigliosamente fotografata, che viene continuamente spazzata da un montaggio di rara efficacia.
Lo spettatore fa una fatica fottuta a riconoscere dove sta andando. Non si accorge che non sta realmente andando da nessuna parte.
Ed ecco perchè Venezia.
Perchè oltre a portarsi appiccicata addosso l’idea della morte, la città, con la sua architettura fatta di canali, cunicoli, ombre e ancora ombre esalta il gioco del regista.
Che per tutto il film ci fa credere di vedere. Credere di capire. Ci fa credere che ci sia un maniaco. Ci fa credere che le due sorelle siano. Che il commissario sia. Che la moglie sia. Che il vescovo sia. Che qualcosa, insomma, sia.
Roeg gioca con i clichè del genere. Ne sovverte le logiche. Pesca carte dal mazzo.
Ci mostra una risata incastonata in una sequenza di sciagura. Ci mostra due calzini dal colore diverso. Ci mostra dei cadaveri ripescati dalle acque. Ci mostra volti che sbirciano, nascosti. Bambole dimenticate. Personaggi torbidi. Arriva persino ad associare l’acqua alla morte (l’acqua, per tradizione massima significante di nascita e di vita).
Ma è un “giallo”?
Assolutamente no…
Questo difatti è uno dei film più “grigi” che mi sia mai capitato di vedere.
Di un grigio irrefrenabile. Il grigio di un dicembre che non è ancora diventato inverno. Un autunno della mente che ogni cosa miete e che non si vuole arrendere al bianco della stagione che verrà.
E se a thanatos viene riservata la piazza principale qui, ad eros si concede il beneficio della più bella scena di amore mai vista.
Mi sorprende che non ne abbiate parlato.
Un mirabolante esempio di montaggio alternato che non lascia prigionieri.
Quella scena meriterebbe, lei da sola, un attico nel palazzo del Grande Cinema.
Il film termina con un furioso inno al montaggio.
Ciò che gela addosso la paura non è quel volto finalmente svelatoci. Ma la vorticosa carrellata di momenti di vita che introducono la morte.
Così si chiude questo viaggio a ritroso nella mente di un uomo già morto.
Qualcuno qui ha ricordato “Chi L’ha Vista Morire?”.
Per le architetture della mente esibite, a me questo gioiello ha richiamato il Bazzoni de “Le Orme”.
…
Franco…io mi son fatto pure un paio di Mint Juleps prima di andare a letto, che mi infondessero la giusta sonnolenza no?..ma Franco!, continuavo ad accendere la luce per vedere se c’era veramente il mio inconscio incappucciato di rosso, lì fermo ad osservarmi nel buio.