Giamaica (Luigi Faccini, 1998)

Un ragazzo di origini africane viene ucciso, arso vivo durante l’incendio doloso di un centro sociale nella periferia romana.

Il film narra la notte brava dei suoi amici, che all’indomani dell’evento passano una nottata intera vagabondando avanti e indietro lungo le strade della capitale a bordo del furgone di uno di loro.

Durante questo lasso temporale faranno diversi incontri ed esperienze, alcune catartiche, altre avvilenti, e soprattutto rolleranno e fumeranno un sacco di cannoni.

Il film è interessante ma avevo aspettative troppo alte che sono state deluse.
Diverse situazioni sono eccessivamente inverosimili, oppure sono trattate con troppa superficialità. Il finale ad esempio, nel quale i protagonisti vengono bloccati dai teppisti fascistoidi che gli puntano la pistola in bocca e gli colorano la faccia con le bombolette di vernice spray: la polizia arriva, sequestra il ferro e manda via tutti come se niente fosse; i protagonisti salgono sul furgone (mezzo sfasciato dai fasci) e ripartono mettendosi a scherzare e sorridere come se niente fosse, senza covare nemmeno un po’ d’odio o di astio. Totalmente inverosimile.

Altra cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso è l’assortimento del gruppetto di amici; è vero che io non ho mai vissuto l’esperienza del provenire dal quartiere periferico e disagiato di una grande metropoli, esperienza che probabilmente unisce e affratella a prescindere da orientamenti politici e religiosi, appartenenza etnica e dimensione socio-culturale nella quale ci si riconosce. Ma a me sembra comunque strano che un rastone fricchettone, un gabber, un immigrato di origini africane disoccupato, un operaio proletario ed un altro tizio senza arte né parte né connotazioni caratteristiche siano tutti amici e se ne vadano in giro insieme su un furgone pitturato e decorato in stile “Bob Marley”.

Insomma, non posso dire che il film non mi sia piaciuto per niente, ma mi lascia con molti dubbi e con una sospensione del giudizio per diversi aspetti che non mi tornano.

Detto papale papale. Da come lo descrivi, forse il film voleva essere una specie de “L’odio”. Magari , “all’amatriciana”. Peccato che di Kassovitz, all’epoca, ce ne fosse uno solo. E di imitatori italiani, non ce n’era bisogno, anzi. Consideriamo oltretutto che il francese, girò il suo film a 27 anni. Faccini invece, era già cinquantottenne. Ho detto tutto… :thinking: