Leo the lion, Lady Liberty e gli altri
loghi che fanno la storia del cinema
Dietro le immagini e i suoni che rappresentano gli studios hollywoodiani
ci sono spesso incontri fortuiti, ricordi dell’adolescenza, intuizioni di un momento
di BENEDETTA PERILLI
Dal 1928 ruggisce incorniciato in uno stemma d'oro sul quale è stampata la frase "Ars Gratia Artis". Lo avete visto introdurre capolavori come [i]Via col vento[/i], [i]Cantando sotto la pioggia[/i], [i]Ben-Hur[/i] e [i]2001: Odissea nello spazio[/i] ma probabilmente di "Leo the lion", il mitico leone che simboleggia la casa di produzione cinematografica Metro-Goldwyn-Meyer non sapete nulla. Eppure quella dei loghi degli studios che hanno fatto grande il cinema americano è una storia avvincente fatta di incontri fortuiti, ricordi adolescenziali ed immagini destinate a diventare eterne. Tra montagne innevate, enormi iniziali e una splendida Lady Liberty che impugna una torcia, spesso a rendere immortali i pochi secondi che introducono le pellicole non sono solo le immagini accattivanti ma anche i celebri jingle orchestrati e composti ad hoc.
La tradizione di inserire i loghi cinematografici nei titoli di testa dei film deriva dal teatro, in particolare dal vaudeville americano. A presentare gli artisti in scena veniva affisso su un cavalletto sistemato nel proscenio un cartello identificativo con le generalità dell’artista e dello spettacolo. Dal teatro i cartelli sono passati al cinema, soprattutto a partire dagli anni Trenta con il boom della settima arte, dove insieme al titolo del film venivano inseriti anche il nome e il logo della casa di produzione.
Tra i loghi più antichi della storia del cinema, ancora visibile sul grande schermo, c’è l’alta vetta imbiancata della Paramounts Pictures Corporations. Nata nel 1914 come uno scarabocchio disegnato dal fondatore della società W. W. Hodkinson durante una riunione con Adolph Zukor, l’altro azionista, la montagna rappresentava nella sua versione originale la vetta Ben Lomond, luogo caro all’infanzia di Hodkinson che proprio nella regione dello Utah era cresciuto. Negli anni successivi il logo è diventato animato e sulla montagna, che nel frattempo è stata sostituita dalla vetta peruviana dell’Artesonraju, sono state aggiunte ventiquattro stelle che rappresentavano le star contrattualizzate dalla casa cinematografica. Oggi le stelle sono scese a ventidue e il disegno originale fatto a mano è stato sostituito con una versione al computer. Altra immagine storica è quella del leone della Metro-Goldwyn-Mayer che dal 1924, quando è nato grazie alla penna del pubblicitario Howard Dietz, ad oggi è stato sostituito ben cinque volte. In principio fu Slats, il leone muto che fino al 1928 ha accompagnato la produzione prima dell’avvento del sonoro, poi venne Jackie che oltre a essere il primo leone della MGM ad aver ruggito fu anche il primo ad essere trasmesso in Technicolor nel 1932. A lui seguirono Tanner, poi un ignoto felino e infine Leo che dal 1957 a oggi non ha mai smesso di mostrare i grossi denti. Quella dei leoni fu una scelta di Dietz ispirata al ricordo dei suoi “ruggenti” anni universitari presso la Columbia University e in particolare alla sua squadra di atletica: i Lions.
Sempre nel 1924 nasceva anche un altro simbolo di Hollywood. Si chiama Columbia, è la bellissima Signora Libertà che, con una fiaccola in mano, rappresenta gli Stati Uniti e da più di ottanta anni è il logo della Columbia Pictures, la casa cinematografica creata nel 1919 dai fratelli Cohn e John Brandt. Sulle generalità della modella che ha ispirato il logo esiste da anni una sorta di leggenda e molte donne se ne sono indebitamente attribuite le forme. Nell’autobiografia del 1962 di Bette Davis la diva indica l’attrice Claudia Dell come modella della Columbia, mentre nel 1987 il settimanale People Magazine parla dell’attrice Amelia Batchler e nel 2001 il Chicago Sun Times sostiene di aver trovato in Jane Bartholomew, un’impiegata della Columbia, l’ispiratrice. L’unica certezza sono le generalità dell’attuale modella che dal 1993 dà il volto al restaurato logo voluto dalla Sony Pictures. Si chiama Jenny Joseph e non Annette Bening come per lungo tempo si è vociferato.
Tra i loghi più modificati di Hollywood c’è sicuramente quello della Warner Bros., la casa cinematografica fondata ai quattro fratelli Warner arrivati negli Stati Uniti direttamente dalla Polonia. Dal 1923 a oggi il disegno stilizzato delle due lettere che rappresentano lo studio, la w e la b, è stato modificato circa una dozzina di volte passando per restyling arditi come quello degli anni '60, disegno minimale in bianco e nero, o quello degli anni '70, sfondo nero e logo rosso, fino ad arrivare al cielo nuvoloso dell’attuale versione.
Nella storia dei loghi non può mancare quello della Twenty Century Fox che, rispetto agli altri, si è affermato più per la celebre fanfara che accompagna l’introduzione che per il disegno dell’edificio in stile liberty. Rullo di tamburi, trombe e orchestra, pochi secondi composti da Alfred Newman che, insieme al disegno del 1933 di Emil Kosa, rappresenta dal 1951 l’entertainment americano.
Infine, tra gli studios più recenti, la storia del logo della DreamWorks, la casa di proprietà di Steven Spielberg, David Geffen e Jeffrey Katzenberg, ha un retroscena romantico. Nell'idea originale di Spielberg il disegno doveva evocare l'epoca d'oro di Hollywood rappresentando un uomo che pesca seduto sulla luna. Affidato all'animazione di Dennis Muren, autore di molti effetti speciali dei film del regista americano, il disegno fu proposto in versione digitale. Su idea di Muren invece si preferì il pennello del pittore Robert Hunt che sostituì alla luna piena una luna crescente e all'uomo un giovane ragazzo che prese il volto del figlio William Hunt. ([i]10 dicembre 2008[/i])