Il divorzio nel mondo (Emanuele Cassuto, 1970)

Altro titolo ormai disperso riesumato in una copia incredibilmente buona da Cine34, che l’ha trasmesso qualche mese fa.

Si tratta di un mediometraggio di 36 minuti realizzato in occasione del dibattito nato attorno alla discussione della legge Fortuna-Basili, che stabiliva la creazione anche in Italia dell’istituto del divorzio. Il film, pur fingendo di avere un approccio neutrale al tema (dichiarando di aver come scopo scopo di informare il cittadino sull’argomento in modo che possa approcciarsi criticamente ad esso), assume con il passare dei minuti una sempre più marcata impostazione anti-divorzista, mettendo in luce gli aspetti critici delle conseguenze del divorzio e tacendo invece gli aspetti critici di una convivenza forzata in situazioni difficoltose (nessun accenno alla violenza domestica ad esempio).

Si parte con uno dei cavalli di battaglia dei mondo movies del periodo, la comune hippie (questa volta in germania), che viene puntualmente denigrata e ridicolizzata dal sagace commentatore di turno. Si analizza poi il problema (badate bene, non tema, problema) del divorzio in Germania Ovest, in UK, in Francia (gran parte della sequenza francese è dedicata a portare avanti la tesi forzatissima per cui i figli di divorziati abbiano altissime probabilità di diventare delinquenti - vengono chiamati in causa giudici del tribunale dei minori e istituti/riformatori per giovani deviati molto simili a quello mostrato nel film Cani perduti senza collare), negli USA (da sottolineare una sequenza involontariamente (?) razzista in cui gli afroamericani sono dipinti come degli inaffidabili chiavatori che quando si stancano della coniuge/pollastra di turno la abbandonano senza alcuna remora morale ed un’altra sequenza in cui all’istituzione del divorzio viene attribuita come conseguenza diretta l’aumento dei suicidi).
Il film è pieno di testimonianze di esperti, funzionari pubblici, avvocati, psicologi, consulenti coniugali e via dicendo, che si spalleggiano l’un l’altro nel sostenere che la famiglia è sacra ed è meglio sacrificarsi sopportando anche matrimoni infelici piuttosto che rompere il vincolo che lega moglie e marito.
Addirittura non è concepita come sana l’unione di una coppia che non si sposa, e si prevedono dolorosissime conseguenze per i figli.
Insomma il film è estremamente tradizionalista e a mio modo di vedere guarda unicamente al passato, senza concepire la possibilità di nuovi modi di trascorrere una vita di coppia al di fuori della forma codificata del matrimonio.

Un film invecchiato male, molto più di altri, che ci racconta davvero molto della difficoltà di evolvere e trasformarsi che aveva la nostra società a quel tempo… Oggi sicuramente la situazione è cambiata, ma mi chiedo quanto ancora queste resistenze tradizionaliste (sicuramente in gran parte legate al retaggio cattolico) ci blocchino impedendoci uno sviluppo libero, critico e consapevole di nuove forme di vivere basate su modelli differenti.

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Mi pare che, poi, la Società ha preso un’altra strada fregandosene di filmetti insulsi come questo.