Il mio uomo è una canaglia (Ivan Passer, 1971)

Stranissimo ibrido tra droga movie e commedia sentimentale, non molto riuscito in realtà. In effetti il connubio tra i due generi è difficile se non impossibile; non so come sia saltato in testa agli autori di provare a giocarsi questa carta.
In particolare la figura del tossico è rappresentata in modo davvero superficiale, con una psicologia che solo in piccola parte è aderente alla situazione di sudditanza alla sostanza ed al tunnel di disperazione e sofferenza che ne deriva. Il protagonista spesso scherza e fa il guascone, mentre cerca la roba è sempre pronto a far burlette e a buttarla in farsa; da spettatore rodato di droga-movie (nonché persona informata sulle ricadute della dipendenza - sia a livello sociologico che sotto l’aspetto delle relazioni interpersonali) più volte durante la visione del film mi è capitato di domandarmi questo che cazzo ci avesse da ridere. Poi diverse altre cose inverosimili rivelano che gli sceneggiatori non conoscessero per niente il problema della tossicodipendenza di strada: una per tutte, quando il protagonista ha il cold turkey e nell’inquadratura dopo è tranquillo e sereno in macchina che torna in città per acquistarsi una dose, come se niente fosse, beato come un pascià.

Insomma, Ivan Passer, dopo essere stato figura cardine della new wave cecoslovacca grazie alle sue sceneggiature per Forman e alla sua opera prima Intimní osvetlení, qui al suo esordio hollywoodiano tradisce un po’ le aspettative, realizzando un film senza anima.

Da rimarcare però De Niro nel piccolo ruolo di uno sbirro dell’antidroga, che sfoggia già il look (più trasandato che casual) con l’iconico berretto in testa che vedremo poi qualche anno dopo in Taxi driver.

Film visto grazie ad un recente passaggio su Lazio TV: purtroppo la copia aveva un paio di salti molto evidenti, probabilmente la bobina RVM era danneggiata e si sono persi parecchi minuti. La durata era di un’ora e dieci scarsa, 18 minuti in meno della durata ufficiale. :sob:

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