In mezzo a tanti giovani registi italiani che, per essere riconosciuti autori, si incaponiscono nel cinema del reale, non si può che provare una certa simpatia per questo lavoro di Asia Argento. Che sceglie una chiave romantica nel senso, appunto, di passionale e non reale.
Un romanzo di formazione che cerca di uscire dal facile bozzetto e dalla nostalgia ruffiana.
La protagonista ha 9 anni nel 1984, come Asia Argento, ma il film si discosta sia dall’autobiografia sia dalla ricostruzione malinconica.
E in questo aspetto di rielaborazione, di una storia personale e di un’epoca, ci sono le qualità maggiori del film.
Coadiuvata in scrittura da Barbara Alberti, penna che ha toccato tanti film eccessivi, Asia Argento non racconta la propria infanzia e nemmeno i propri genitori. Garko e la Gainsbourg non sono Argento e la Nicolodi, ma sembrano piuttosto una proiezione della stessa Argento (la prima) e una deformazione affettuosa dei tanti uomini immaturi che la regista pensa di aver incontrato nella propria vita (il secondo).
E gli anni '80 non assomigliano a quelli visti in tanti film italiani alla Brizzi. Non c’è la presunzione di inscenarli usando gli elementi più banali che tutti ci ricordiamo, ma c’è invece il tentativo di renderli una sorta di tempo perduto ma ancora legato al presente, una specie di infanzia continua, iniziata negli anni '80 e ancora in corso (esemplare, in questo senso, la scelta dei brani in colonna sonora, tutti con sonorità poco eighties).
Ecco, questi sono gli aspetti positivi. Poi però, purtroppo, il film è troppo sbilanciato. I personaggi adulti sono tutti stereotipati ed eccessivi, le varie situazioni sono spesso sviluppate in maniera frettolosa e poco incisiva e il film procede un po’ stancamente.
La bravura della giovane protagonista però aiuta e alla fine “Incompresa”, come si intuisce dal titolo, diventa una specie di versione femminile e contorta del celebre film di Comencini, che tanti bambini terrorizzò.
Confezione curata (c’è la Wildside alle spalle), ma regia senza idee significative.
Il ritratto orrorifico infantile che Costanzo realizzò con “La solitudine dei numeri primi” - per citare un’altra produzione Wildside - rimane ben più compiuto e spiazzante.