La maman et la putain (Jean Eustache, 1973)

Passato su Fuori orario settimana scorsa, all’interno di un ciclo intitolato “Cinema anno zero” che riprende alcuni film della nouvelle vague legandoli al cinema verità di Grifi (di Anna, e rimando al topic apposito).
Si fa fatica ad arrivare alla fine, praticamente questo film è un monologo di Jean Pierre Leaud, diviso tra una donna matura che lo mantiene e una giuovane libertina che se lo tromba.
Come abbiano fatto a dargli il premio della giuria a Cannes rimane un mistero

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Erano gli anni del “Grande Cinema d’Autore”, dei “film da festival”, delle opere che andavi a vedere al cinema “d’essai”. Magari con relativo dibattito a fine proiezione. Magari ti facevi due palle così. Ma dovevi fare finta che il film ti era piaciuto, altrimenti i “compagni” (l’ambiente era quello…:relieved:) ti consideravano “sporco traditore borghese reazionario”. Insomma, anni belli. Specie per il cinefilo sincero e onesto…:face_with_peeking_eye::shushing_face:
P.S. Il tuo stupore, Silva, è giustificato appieno dalla tua giovane età. Hai ancora tante occasioni per rimanere basito, e pure un tantino incazzato…:wink:

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Mi permetto di dissentire, stai generalizzando.
All’interno di quel contenitore ci sono film belli e film brutti, come in ogni altra categoria.
Poi, ad alcuni quel tipo di cinema piace, mica erano tutti degli ipocriti gli spettatori. Erano anni diversi in cui si era abituati a diversi ritmi ed a diverse modalità espressive e narrative. Erano anni in cui si passavano ore ed ore tutte le settimane a prendere parte ad assemblee e dibattiti su tematiche politiche e sociali.

Sicuramente è un tipo di cinema ostico, oggi ancor più che allora, ma altrettanto sicuramente una sua nicchia di estimatori ce l’aveva.

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Hai assolutamente ragione,Frank. Più che generalizzare, ho fatto al giovane Silva un discorso “globale”. Per dare l’idea del clima generale dell’epoca. Poi è ovvio che nel cinema più “pesante”, si trovano comunque gioielli. Basta imparare a separare la crusca dalla farina. Diventa poi una faccenda di gusti personali. Del resto, pure io a 14 anni mi cuccavo Wenders in sala, senza che nessuno mi costringesse…:smirk:
P.S. A proposito. Del film di Eustache c’è una bella edizione br Criterion, negli States e in Gran Bretagna. E per chi comprende l’idioma locale, un cofanetto della Carlotta in Francia, con l’opera omnia o quasi dell’autore, morto suicida a soli 43 anni.

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Sono sicuro che rivedendolo, magari a mente fresca e nel pieno delle energie che un film come questo richiede, riuscirai ad apprezzarlo nella sua interezza, nonostante possa risultare un po’ intellettualistico, statico, ecc. La diversità iniettata nel Cinema da questi film ci aiuta a capire anche che esistono tanti modi per mostrare la propria visione delle cose, e che un film può essere sfogliato come se fosse un buon libro - e un buon libro di certo non lo sfogli in modo forsennato. Di più, film così riescono a nascondere un “difetto” che possiede la settima arte: cioè a dire che il mezzo non ci dà sempre la possibilità di soffermarci troppo sulle immagini che ci vengono mostrate, sui dialoghi che ascoltiamo. E invece qui ci riusciamo, e ciò non è un difetto. Sono convinto che per apprezzare la bontà di un film, dobbiamo frenare le immagini che scorrono, a volte persino tenerle ferme - al contrario della pittura, in cui il pittore e chi guarda cercano proprio di fare il contrario, rendendo vivo, con tutte le loro forze, il dipinto che hanno davanti.
Uno sguardo alla Letteratura e al Cinema del secolo scorso aiuterebbe anche a costruire il contesto in cui questo film è nato: Sartre, Camus, Volponi e tanti altri scrivevano così, per esempio; Godard non andrebbe nemmeno citato, è palese la sua influenza; ad un certo punto del film si parla di “parola d’autore”: chiaro riferimento a Bachtin; riferimento temporale essenziale: non era passato molto tempo dal 1968, e i riferimenti alla neonata società dei consumi si sprecano. Insomma, mi sembra ci siano tanti elementi che ci aiutano a capire come il film non sia proprio da trascurare, senza contare che pochi altri registi hanno saputo esplorare il sentimento amoroso e le sue mutazioni come ha saputo farlo Eustache con questo suo film, riuscendoci senza essere retorico, senza sfociare nel sentimentalismo e nel patetismo.

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A tutt’oggi, mai visto un film di Eustache nemmeno per sbaglio. Ma il tuo intervento, Nik, mi ha fatto venire voglia di colmare tale (grave?) lacuna. Semmai, una cosa mi lascia assai perplesso: ma sei sicuro di avere trent’anni? Hai una capacità di scrittura, l’abilità di esporre idee concetti ed opinioni con tale chiarezza e proprietà di linguaggio, che sembri un saggio esperto ed autorevole sessantenne. Che riesce oltretutto, dote rara, a trasmettere anzi DIFFONDERE l’amore ed entusiasmo che tu provi verso il cinema. Decisamente, potrei lasciare il forum senza rimpianti o preoccupazioni. Con persone come te, è in buone mani…:grinning::cocktail::heart::handshake:

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Ti ringrazio ancora una volta, sono davvero felice che quello che scrivo riesca a essere veicolo di trasmissione per l’amore e la passione che nutro per il Cinema, e riesca soprattutto a suscitare interesse nei confronti di un dato film. Sono convinto che questa arte mi abbia salvato, e non nego che mi piacerebbe moltissimo incentrare tutta la mia esistenza su di essa (ed è forse questo l’unico desiderio a tenermi vivo, perché provenendo dalla provincia, da un posto che non offre stimoli, non è difficile che io mi faccia prendere dallo sconforto).
Comunque sì, continuo ad avere trent’anni, e forse sembro più grande perché scrivo/parlo in modo demodé… i vecchi critici direbbero: “è calligrafico”.
Nella realtà, invece, in quelle rare occasioni in cui mi capita di conoscere una persona nuova, quest’ultima non esita a dirmi: “ma veramente hai trent’anni? Pensavo ne avessi venti”. Pensa come sto messo… :melting_face:

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Riassumendo. Hai 30 anni. Ma ne dimostri 20. E scrivi come se già avessi decenni di esperienza e conoscenza alle spalle. Sei un giovane fortunato…:handshake::star_struck::wink::ok_hand:

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