Allucinante pugno nello stomaco, uno squarcio sulla realtà della prostituzione minorile nelle Filippine, tanto intenso e drammatico da rendere difficile anche a chi è abituato a vedere film che si spingono verso il limite del visibile.
Il fatto è che qui lo shock non è visivo ma emotivo.
Lilet è una bambina di una decina di anni al massimo, che viene messa dalla propria madre (una donna delle favelas che a suo tempo fece anche lei lo stesso “percorso”) nelle mani di un pappone che gestisce dei giri di prostituzione di strada. La bambina vive con la madre e col suo violento compagno, ma durante la giornata deve guadagnarsi da vivere rendendo servizi sessuali. Un giorno non ce la fa più e scappa, va a rifugiarsi dalla sorella maggiore… Che è impiegata in un bordello per occidentali, nel quale lavora e dorme (quasi segregata, le possibilità di uscire sono pochissime) insieme ad altre ragazze. Lilet viene accettata, inizialmente impiegata come cameriera mentre le sue colleghe più grandi intrattengono i clienti al tavolo o ballando sul palco.
Ma nel giro di poco pure lei diventerà a tutti gli effetti una prostituta per occidentali.
In tutto ciò, la vicenda di vita di Lilet si incrocia con quella di una cooperante occidentale che lavora per una ONG, gestendo una struttura che dà asilo ed assistenza ai bambini di strada. Lilet però ha un carattere forte, forgiato dalla rabbia e dalla voglia di rivalsa; non riesce ad accettare le regole del centro, dal quale scappa più volte per ritornare al bordello, e spesso corrompe con la propria visione disincantata ed in qualche modo arrivista anche gli altri ospiti della struttura.
Lilet vuole fare soldi, nell’ambiente in cui si è trovata cerca una realizzazione personale sotto forma di rivalsa, ambendo ad essere la prostituta numero uno, la più costosa, la migliore.
Ed è una bambina di 10 anni.
Il film fa davvero riflettere: non c’è solo la questione di una sensibilità culturale differente, è proprio il fatto che la normalità di questa società comprenda la presenza del fenomeno della prostituzione minorile così diffuso ed incombente che lo rende una cosa comunemente accettata, seppur magari vista come una piaga. Un po’ come da noi può essere la vendita delle sigarette di contrabbando. Non va bene ma c’è, vabbè, lo sappiamo, ci siamo abituati, che ce voi fà?
E invece questa pellicola riporta il tutto su binari che fanno vibrare le corde emotive, riporta il problema in una dimensione dove riverbera forte l’empatia, mostrando gli enormi e dilanianti danni che queste esperienze generano nell’equilibrio psicofisico delle persone che vivono in questa situazione. L’incapacità di amare, di dare fiducia, di instaurare rapporti di amicizia (ed in generale rapporti umani) disinteressati, liberi dalla logica del dare-avere. E soprattutto il film mostra l’enorme, incolmabile ed inesauribile dolore sperimentato e la freddezza emotiva che può scaturirne.
Sicuro che in una società diversa da quella filippina il film non potrebbe mai essere stato girato: la protagonista è una specie di baby star che recitava in serie tv commerciali che si è trovata catapultata ad immedesimarsi in una storia simile. La vedete voi Hannah Montana o le ragazzine de Il mondo di Patty in una simile situazione?
Il punto è che, credo, nelle filippine questa realtà è talmente sotto gli occhi di tutti che è impossibile ignorarla, ed anche i bambini delle famiglie “normali” sanno che il problema esiste, e non in modo astratto, ma perché ti ci imbatti per strada.
Il film è stato realizzato con il supporto della ONG Terres des Hommes, che si occupa di combattere la prostituzione minorile nel mondo.
Chiudo con la citazione che conclude la pellicola, parole che vengono dalla bocca della vera Lilet a cui questa storia è ispirata: