Mad world (Chun Wong, 2016)

Ragazzo sulla trentina esce dall’ospedale psichiatrico, dove è stato ricoverato per un anno a causa di crisi bipolari.
Si ritrova a vivere a casa del padre che non vede da anni (un magnifico Eric Tsang), un buco di 3 metri quadri in un gigntesco casermone popolare sovraffollato.
Pian piano attraverso flashback scopriamo la storia del passato del protagonista, il rapporto difficile con la madre malata di demenza senile, di cui solo lui si prendeva carico; poi il rapporto sentimentale naufragato, le speculazioni finanziarie andate male… Poco a poco scopriamo nel dettaglio cosa ha condotto il ragazzo in una situazione tanto difficile da sviluppare la malattia psichiatrica.
Ma il cuore del film è il difficile rapporto tra chi soffre di malattia mentale e chi cerca di farsene carico, per senso del dovere prima ancora che per affetto, senza essere in grado però di mettere in campo delle competenze relazionali ed empatiche adeguate.
Il tutto sullo sfondo di una Hong Kong fredda, distaccata, anafettiva, giudicante e colpevolizzante, che guarda solo al denaro, al vantaggio individuale.

L’abbraccio finale tra padre e figlio, che apre alla dimensione della speranza, alla possibilità di un contatto umano autentico e profondo, lo aspettavo da almeno mezz’ora di film, era l’unica cosa che poteva far bene e risultare da antidoto alla sofferenza e alla solitudine del protagonista.

Ricordavo Eric Tsang nel suo elemento in commedie sciocchine del tipo di It’s a mad mad world, è stato piacevole vederlo a suo agio in un film quasi omonimo ma dal mood tanto diverso!

Opera prima del regista, che ha scritto qualche altra sceneggiatura sempre nel 2016, poi imdb non riporta più nulla. Che senso ha scomparire dall’ambiente dopo un’opera prima così, che ha fatto incetta di premi a destra e a manca? Ma che fine ha fatto, è morto per caso (con tutti gli scongiuri possibili e immaginabili…)?