Michel Petrucciani - Body And Soul (M. Radford, 2011)


http://www.imdb.com/title/tt1417086/

Ho il sospetto che questo documentario possa interessare pochi forumisti (steed e forse qualcun altro) ma ne parlo lo stesso.
È un documentario di un centinaio di minuti dedicato alla vita e alla carriera di Michel Petrucciani, meraviglioso pianista jazz affetto da osteogenesi imperfetta (una malattia che porta le sue ossa ad essere deformi e fragili come il cristallo) che nella sua brevissima vita (appena 36 anni) è stato uno dei più grandi jazzisti di tutti i tempi.
Il film alterna interviste realizzate ex novo ad amici e colleghi con materiale di repertorio comprendente interviste, live e filmati privati dello stesso Petrucciani.

Petrucciani è in assoluto il mio pianista jazz preferito, lo ascolto da quando ancora ero al liceo e ricordo con immensa emozione quando lo incontrai casualmente all’aeroporto di Pisa nel 1997 (il giorno prima aveva fatto un concerto a Livorno al quale non ero potuto andare perché quando venni a sapere dell’evento non c’erano già più biglietti). Mi avvicinai intimorito, gli strinsi la mano emozionatissimo e, cosa rara per me, gliela strinsi con delicatezza impalpabile. Detesto le strette di mano mollicce e “morbide”, mi piace sempre stringere forte la mano di chi mi sta davanti, altrimenti non ha senso salutarsi così ma davanti a Petrucciani ricordo benissimo che avevo il terrore di fargli male e di danneggiare quel patrimonio inestimabile che era la sua mano destra. Era un pensiero stupido probabilmente, non avevo certo intenzione di sbriciolargli la mano ma ricordo proprio che feci tantissima attenzione a questa cosa perché avevo davanti a me uno dei più grandi pianisti di tutta la storia del jazz, tanto bravo quanto fragile, e per qualche secondo ho tenuto nella mia mano un tesoro immensamente prezioso. Lui era seduto al tavolino del bar con uno del suo entourage e mi invitò a sedermi con lui. Mi chiese se volevo qualcosa ma balbettai un rifiuto perché ero troppo intimorito e lui iniziò a chiedermi chi ero, da dove venivo, cosa facevo (peraltro in ottimo italiano). Restai un paio di minuti con lui, mi disse che era stato spesso in Sardegna e che gli piaceva molto un posto nella costa nord, che un suo amico gli mandava sempre un vino buonissimo fatto da lui e che il concerto del giorno prima a Livorno era andato benissimo. Poi tirai fuori un bloc notes con gli appunti delle lezioni dell’università e mi fece un autografo “A Federico, musically yours Michel Petrucciani”, disegnando anche delle note musicali dopo il suo nome.
Ora quell’autografo è appeso e incorniciato in camera mia, a casa dei miei.
Ricordo anche quando approfittai di un pomeriggio libero quando stavo a Parigi per visitare il cimitero di Père Lachaise e trovai per caso la sua tomba, accanto a quella di Chopin.

Il documentario però è stato deludente (ma forse sono anch’io che sono molto esigente).
La colpa in ogni caso è TUTTA del regista Michael Radford che per me è sempre stato un sopravvalutatissimo incompetente nei suoi lavori di fiction (odio con tutto me stesso Il Postino, 1984 e Il Mercante Di Venezia). Il documentario non fa per lui, e si vede. Gli inserti realizzati da lui apposta per questo film sono ridicoli (guardate la scena che ha girato per accompagnare quando Petrucciani racconta di aver rotto a martellate un piano giocattolo quando aveva 7 anni perché voleva un piano vero) e, anche se sono pochi, danno molto fastidio. Alcune delle interviste realizzate apposta per l’occasione hanno inquadrature molto brutte e parecchi filmati di repertorio non sono deinterlacciati con conseguente effetto scalettatura (molto sgradevole e amatoriale).
Poi c’è un altro peccato gravissimo: gli intervistati non vengono presentati, non ci sono i sottopancia che dicono chi sono e cosa hanno fatto. Lo spettatore deve quindi desumere la loro identità da quello che raccontano e non sempre è possibile. Per me questa cosa è intollerabile.
Il documentario è comunque montato bene e la struttura cronologica funziona a dovere.
Si evita l’agiografia di Petrucciani e lo si presenta in maniera molto umana, senza nascondere i difetti (era un impenitente donnaiolo che sapeva trattare malissimo le sue numerose compagne) e i vizi (si parla senza problemi di droga).
Bello poi come vengono smentite alcune leggende relative alla sua storia col padre che racconta una cosa che poi viene smentita categoricamente da altri intervistati. In particolare faccio riferimento alla storia che vorrebbe che la collaborazione tra il tredicenne Petrucciani e Clark Terry avvenne per caso dato che il suo pianista si ammalò e quando lui salì sul palco per dire che il concerto non poteva svolgersi, Petrucciani (che era tra il pubblico) si offrì di sostituirlo sbalordendo tutti.

Alla fine resta comunque un documentario prezioso ed importante ma resta l’amarezza perché poteva essere fatto molto meglio. Mi aspettavo di più ma visto il nome del regista avrei fatto bene ad essere più realista.

Ho l’edizione italiana, edita da Feltrinelli (libro + dvd).
Il dvd contiene qualche extra: un’intervista a Michael Radford (inutile e spesso ridicola), un promo del concerto in onore di Petrucciani tenuto dai suoi amici (Rita Marcotulli, Furio Di Castri ed altri ancora) alla Casa Del Jazz di Roma con alcune brevissime interviste e un trailer del documentario.
Il documentario è in inglese e francese, con sottotitoli in italiano per tutta la sua durata (peraltro pieno di GRAVISSIMI errori di traduzione, ero furioso). Ci sono anche sottotitoli in inglese e francese.

Il libretto che accompagna il dvd è francamente uno spreco di carta.
È un opuscolo di neanche cento pagine che contiene cose abbastanza inutili come la trascrizione di tutti i credits del documentario, un’intervista a Radford (similissima a quella del dvd), alcune recensioni del film, brevi testimonianze di alcuni suoi amici musicisti (Marcotulli e Di Castri, che dicono le stesse cose che dicono nel promo del concerto), un’introduzione del figlio Alexandre (che peraltro ha la stessa malattia del padre) e 6 lettere che Petrucciani scrisse nel corso degli anni all’amico batterista Manhu Roche. Insomma, nulla di trascendentale (anzi…).

Non sono fanatico di jazz, ma Petrucciani ha sempre colpito e affascinato pure me. Una cosa stranissima, ma che evidentemente è stata la sua fortuna professionale-artistica, è che su quel corpicino fragile e sgraziato (quando parlavo di lui con altre persone, lo definivo “quel meraviglioso mostriciattolo”!) c’erano delle mani bellissime (si vede pure dal manifesto che hai postato), che sul piano andavano a velocità supersonica. Il fatto che gliele hai strette, bè, è una cosa che davvero ti invidio. Non sapevo poi che parlasse italiano (sì, vabbè, quel cognome…ma tante volte non significa nulla!)…

Nel documentario viene fuori che imparò l’inglese in 6 mesi, durante il suo soggiorno a Big Sur. Tra l’altro parlava un ottimo inglese, fluente e con un vocabolario davvero invidiabile.
In tanti ripetono che lui viveva tutta la sua vita a velocità supersonica (anche perché sapeva che non avrebbe superato i quarant’anni) e che bruciava tutte le tappe.
Confermo che il suo italiano era ottimo ma la cosa non deve stupire visti i tanti musicisti italiani con cui ha suonato e che ha frequentato assiduamente.

A proposito delle sue mani (effettivamente molto belle, quasi in contrasto col resto del corpo) viene detto che spesso - specialmente gli ultimi anni - suonava con le dita rotte (o con altre ossa fratturate, specialmente quelle delle spalle). Tra l’altro suonava tantissimo, l’ultimo anno della sua vita fece 220 concerti.

interessava anche a me questo documentario passato nei cinema come una meteora (ovviamente qui nemmeno un giorno è stato programmato al cinecess) e mi dispiace che sia stato editato così male.

Aspetta, però… Io sono molto esigente e rompipalle (e per di più tenevo molto a questo documentario) e sono stato molto severo, sono però certo che in tanti troveranno ottimo questo dvd + libretto di Feltrinelli.
Dei sottotitoli sbagliati non me ne frega nulla (ammetto di averli lasciati solo per verificare che avessero fatto un buon lavoro… deformazione professionale…), del libretto abbastanza inutile ne faccio tranquillamente a meno, era una cosa in più… Quello che critico al documentario è la regia di Radford con alcune scelte che trovo molto infelici.
Per il resto è un documentario interessante e informativo.

Hai fatto bene a rilevare la mole spaventosa di concerti fatti nell’ultimo periodo: molti ritengono che sia stata fra le principali cause del suo (comunque) prematuro decesso. Ma evidentemente la sua “incoscienza” di vivere era fortissima…
P.S. Il documentario ancora non l’ho visto, ma a dispetto dei difetti che hai rilevato voglio assolutamente recuperarlo…

Il documentario su Petrucciani l’ho visto pure io in tv, lo passano spesso sui canali rai a notte fonda. Io l’ho trovato molto bello, sa ignorante in materia (mai sopportato il jazz, dopo pochi minuti ne ho già abbastanza).

Resta il fatto sottolineato da Brass: perché non mettere i nomi delle persona intervistate? Mistero della fede. Non è che le sue donne siano così famose in tutto il mondo, oltretutto.