Motorpsycho (R. Meyer, 1965)

Titolo: Motorpsycho
Regia: Russ Meyer
Anno: 1965
Paese: Usa
Durata: 74 minuti
Cast: Haji, Alex Rocco, Steve Oliver, Hollie K Winters, Joesph Cellini, Thomas Scott, Sharon Lee, Arshalouis Aivazian
Produzione: Eve Productions

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Un film che manca completamente di buon gusto” scrisse l’Hollywood Report, mentre il film spopolava nei drive in.

Motorpsycho anticipa sia il filone dei bikermovies (The Wild Angels di Corman, ritenuto il capostipite, è dell’anno dopo), che quello dei reduci del Vietnam (alla Taxi Driver, Rambo, etc,). Le gesta dei tre bikers per altro sono incentrate sul sesso e l’ultra violenza (quella che Alex il drugo metterà in pratica solo nel 1971). Non che Meyer miri consapevolmente a trattare le tematiche del Vietnam e dei motociclisti, tuttavia in Motorpsycho sono presenti e, seppur carsicamente, emergono e aggiungono sfumature al tema principale, che è quello del rapporto uomo-donna, selvaggio, primitivo, impostato sul rovesciamento dei rapporti di forza, il leit motiv del cinema di Meyer.
Apparentemente il maschio assoggetta la femmina e la possiede totalmente, a ben vedere le donne di Meyer sono già “emancipate”, consapevoli del proprio potenziale (primariamente sessuale), desiderose di una vita di agio e benessere e disposte a compromessi (come detto, consapevoli) per ottenerli. Donne spesso più intelligenti e argute degli uomini (che Meyer dipinge come sottosviluppati e mancamentati) che incarnano un modello di femminismo che molte femministe certo non avranno apprezzato. Che poi, è un po’ l’idea brassiana della donna che sceglie e decide, nonostante l’uomo creda il contrario.

Meyer è grottesco, ironico, indubbiamente erotico; non si appassiona ai suoi protagonisti, non concede speranze concilianti e positive, non dà messaggi né interpreta alcunché secondo un qualche punto di vista. Quasi come un documentarista fotografa la realtà dell’America provinciale e desertica degli anni '60 concentrandosi sui suoi tratti più beceri, rozzi, gretti, ma allo stesso tempo genuini, veraci, spontanei, vitali per quanto crudeli.
Il film è disseminato di cameo del cast tecnico, il manager della produzione è il benzinaio, l’assistente alla produzione è il paramedico dell’autombulanza, Meyer stesso si riserva il ruolo del poliziotto (che insinua che la povera Holle Winters, stuprata, ha subito quello che lei stessa ha voluto, intendendo una sua complicità nella violenza sessuale subita, secondo un adagio moralista abbastanza tipico, che vede la donna sempre e comunque ambigua e colpevole).