Nomadland (Chloé Zhao, 2020)

La dissoluzione dell’American Dream attraverso gli occhi dei nuovi nomadi, media borghesia rimasta con un pugno di mosche in mano, stritolati nella centrifuga del turbocapitalismo, con una pensione da fame, costretti a lavori stagionali nei magazzini di Amazon (che comunque sono presi d’assalto perché pagano “bene”, 15 dollari all’ora, molto di più che tutti gli altri). Chloé Zhao vince e convince ai Golden Globe, miglior film drammatico e miglior regia, oltre che una nomination come migliore sceneggiatura, ma il merito è anche di una sempre stellare Frances McDormand, che per l’occasione s’è trasformata in nomade in incognito riuscendo perfettamente ad entrare nella parte; a parte lei e David Strathairn (molto bravo), tutti gli altri sono veri nomadi che interpretano se stessi. Molto bella la fotografia di Joshua James Richards, so cui svolazzano lievi le magnifiche note di Ludovico Einaudi. Da vedere (non da sonnacchiosi).

3 Mi Piace

Alùra, non sapevo quando lo vidi fosse tratto da un romanzo inchiesta su questa forma di nomadismo. Devo dire che la regista in questo caso è stata molto brava a non scivolare in un facile pietismo e a toccare i temi politici e sociali senza renderli protagonisti di quello che alla fine risulta essere un road movie a tutti gli effetti, retto interamente dalle spalle e dallo splendido volto di Frances McDormand. Una narrazione lenta ma sinuosa e “avvolgente” dove le musiche di Einaudi stanno bene sì, ma alla lunga rompono il cazzo (scusate il francesismo). Certo assolutamente da vedere pensando a quegli affetti perduti che un giorno ritroveremo sulla strada.

2 Mi Piace