Privilege (Peter Watkins, 1967)

La trama in due parole: una rockstar idolo dei teenager ribelli è in realtà costruita dall’industria dello spettacolo per sfruttare commercialmente le pulsioni di rivolta e rinnovamento che attraversano la gioventù occidentale.

Definitelo come volete: stucchevole, telefonato, retorico, naif, ridondante.
Individuatene i difetti, non vi sarà difficile, ce ne sono in abbondanza. Denigratene le ingenuità e le forzature, affiorano spesso, e lo spettatore odierno, se vorrà essere bonario, potrà accoglierle con un sorriso di tollerante accondiscendenza.

Oppure, se vi va, cambiate punto di vista. Apprezzatene la visionarietà, prendete atto che il film è datato 1967 e rimarcate il disarmante svelamento delle logiche di mercato, già all’epoca soggiacenti al movimento della love generation che ancora proliferava nel massimo splendore. Valorizzate la spietatezza ed il lucido disincanto con cui urlava alla gioventù sedicente ribelle che stava venendo manipolata e strumentalizzata per finalità riconducibili sostanzialmente al profitto ed al controllo sociale.

E tenete conto che sto scrivendo queste righe mentre sono arrivato a tre quarti della visione, e chissà cosa mi riserva il finale e quanto ancora ci sarebbe (o ci sarà) da scrivere a film concluso.

In dvd per shockproof.