Riccardo Freda:divoratori di celluloide

Nella mia visita alla famosa biblioteca, ho trovato due sorprese, una la conoscete (il dvd mai trovato :smiley: ), l’altra è questa: ho trovato in catalogo DIVORATORI DI CELLULOIDE, una autobiografia di Riccardo Freda scritta in collaborazione con Goffredo Fofi e pubblicato nel 1981, che cercavo da tempo.
E’ un libro interessantissimo, sostanzialmente diviso in due parti:
nella prima il regista racconta tutta una serie di aneddoti sulla sua vita, l’infanzia, la carriera come scultore (e tutti i contatti con gli esponenti delle avanguardie, tra cui Arturo Martini, Marino Marini ecc.), l’attività nel servizio segreto alleato durante la Seconda Guerra mondiale, e altri gustosissimi aneddoti condivisi con gli amici Leo Longanesi, Steno, Mario Soldati, ecc.Nella seconda parla più propriamente di cinema.
Sulla sua infanzia, Freda racconta che la passione per il cinema gli fu instillata dalla madre, folle cinefila, che lo costringeva a girare per le sale cinematografiche di Alessandria d’Egitto per vedere anche 5 o 6 film di fila. Dice: “certamente, secondo i dettami della psicanalisi, questo mi ha dato il desiderio di riprodurre i film che vedevo, senza un’idea precisa di come farlo”.
Ancora:“Un’altra ragione del mio interesse per il cinema è stata l’impressione che, sempre in Egitto, ho avuto dalla folla degli spettatori. Le sale…erano divise in 3 parti. Nella prima classe c’era la borghesia, come sui treni; in mezzo c’erano gli europei, la gente di un livello di vita diciamo operaio; poi, oltre una balaustra di legno, c’erano gli arabi. E gli arabi erano lo spettacolo nello spettacolo.A impressionarmi era il loro grado di partecipazione al film. Quando, per esempio, il cattivo faceva qualcosa a danno dell’eroe, si sollevava una confusione incredibile, grida, urla per mettere l’eroe sull’avviso…se, per caso, prima dell’happy end, il cattivo riusciva a colpire l’eroe, allora molti si precipitavano sotto lo schermo, ci sputavano sopra, mostravano i pugni al cattivo”.
Conclude, e qui si ritrova tutto il senso della cinematografia di Freda (che è il mio regista preferito, lo ammetto!):
“Tutto questo, visto evidentemente dagli occhi di un bambino, ha fatto nascere in me il desiderio di fare dei film che appassionassero la folla. Non mi interessano i film freddi, i film letterari, i film privi di partecipazione, i film, insomma, che non tengono conto della folla. Quelli che ho voluto fare sono film ai quali la folla partecipi, film capaci di entusiasmarla. Questo è stato il primo seme di una vocazione”.
Più avanti posterò altri estratti, tra cui quelli che riguardano Mario Bava.

A proposito dell’interesse di Freda per la scultura,rammento che andava molto orgoglioso delle colonne del tempio che aveva realizzato personalmente per il set di Caltiki.

Lui infatti cominciò proprio come scultore:
“Finito il liceo mi ero dato, come romanticamente allora si diceva, alla scultura. Ero entrato nello studio dello scultore Prendoni, un simpatico e scanzonato artista della cosiddetta “scuola lombarda”. Non si può dire m’insegnasse granché, preso com’era mattina e sera dallo studio di mirabolanti sistemi per vincere alla roulette. …Scambiavo le mie idee con Fiorenzo Tomea, che doveva poi diventare famoso, il quale mi incoraggiava nella mia inclinazione.”.
Su Caltiki dice:
“Tutti i trucchi di questo film sono dovuti alla sua abilità (di Mario Bava); il mio contributo in questo caso fu piuttosto modesto”.

Molto malinconiche le ultime pagine del libro, dove Freda esprime quel senso di solitudine e di sconfitta che ha molto colpito il suo esegeta Stefano Della Casa, che infatti ha intitolato un suo libro francese “Riccardo Freda, un homme seul”. Per completare la lettura del cap.2 del volume frediano, ti consiglio il libretto di Steno “Sotto le stelle del '44” (Sellerio).

Grazie A.N., sei sempre prezioso nei tuoi interventi: anche Steno è una figura che stimo molto, sono curioso di ritrovare e leggere questo libro che mi consigli.
E’ vero, le ultime parti le devo ancora leggere, ma nella parte di libro letta ne esce un’immagine di uomo solo, e soprattutto con il dente un po’ avvelenato verso la cinematografia italiana (specialmente verso il neorealismo, verso De Sica:la battuta su Umberto D. ad esempio).
Patria ingrata la nostra: quello che Freda dice su Bava esemplifica il suo pensiero: “In questo dannato paese ben pochi si sono accorti di Bava. E non potrebbe essere altrimenti!”.
C’è da dire, poi, e lui stesso lo ammette, che il suo pessimo carattere non gli ha certo dato una mano.

Be’,aneddoti sul caratteraccio di Freda se ne conoscono.Non dubito che fosse amareggiato;fra l’altro di Bava oramai si ricordano tutti,è stato ampiamente rivalutato.Freda invece se lo filano in pochi,meriterebbe più attenzione.

Era amareggiato perché il suo cinema non trovava riscontri positivi nella critica, tutta protesa verso il Neorealismo. Il suo cinema d’avventura e azione, all’americana (lui stesso conferma che era sua fonte di ispirazione), in Italia veniva sbeffeggiato (nonostante facesse sempre il pieno in sala), mentre in Francia era già allora incensato, tant’è che alla Cinematheque di Parigi gli dedicarono, agli inizi degli anni Sessanta, una retrospettiva. Retrospettiva che suscitò le critiche di Roberto Rossellini (anche Freda non lo stimava granché come regista), che la riteneva assolutamente ingiustificata.
Freda merita attenzione, almeno quanto Bava, in quanto ha “inventato” il film popolare di genere in Italia e, tra l’altro, si deve a lui il salto alla regia di Mario Bava, come lui stesso spiega in quest’autobiografia.

Che Freda abbia iniziato Bava alla regìa è pacifico.Gli altri registi trattavano il povero Mario come un facchino,invece Freda lo incoraggiò e ne riconobbe il grande talento.Quanto all’amareggiarsi per i veleni della critica,ovviamente sbagliava;non ne vale la pena,Fulci l’aveva capito da un pezzo.

Eh…i critici: brutta razza. Poi in Italia…siamo pieni di intellettualoidi con la puzza sotto al naso. Che si tengano Muccino, è quello che meritano.:slight_smile:

Il guaio è che ci sono registi che finiscono col prenderli troppo sul serio.Bava si sminuiva definendo “cazzate” i suoi gotici,e Massaccesi faceva lo stesso;e perchè?Perchè qualche imbrattacarte li relegava inesorabilmente alla “serie B”.Aldo Lado sta a giustificarsi ancora adesso,sottolineando che La Corta notte delle bambole di vetro non sarebbe un horror ma un film politico.Come dire:guardate che non ho fatto un film di genere,il mio è cinema “d’autore”.Freda è stato un pioniere,gli Americani volevano la sua consulenza per lo Spartacus di Kubrick perchè lavorava bene e si arrangiava con poco.E s’è pure permesso il lusso di rifiutare,per dire quant’era orgoglioso.Si fottano i critici…

Ecco, hai perfettamente chiarificato perché il nostro cinema è affondato, e ora ci troviamo film pretenziosi, di una noia mortale, girati da “registi” che non conoscono l’ABC dell’arte cinematografica…però si beccano le sovvenzioni statali perché parlano del quotidiano…Ma se non posso più sognare nemmeno al cinema, dove lo posso fare, azzo…
Freda, con una parabola lo spiega bene. Fa l’ipotesi di un film che narra di una astronave in viaggio. Dice che a De Sica sarebbe piaciuto raccontare l’omino che mette i bulloni per costruire l’astronave, mentre lui avrebbe fatto il film sull’esplorazione di mondi sconosciuti". Il cinema che ha obiettivi frediani non si fa più. Si fa solo il primo, male per giunta, ovviamente un grande De Sica non esiste… Voglio pure riflettere davanti a uno schermo, ma con un prodotto confezionato da chi veramente lo sa fare.

Sottoscrivo quello che dici tu e Tuchulcha totalmente d’accordo.

Oggi in Italia non c’è più nè Bava, Freda … nè Antonioni, Fellini… Non credo che dipenda da un rincoglionimento tutto d’un botto è che senza i capitali anche piccoli ma investiti non solo per cinepanettoni o cinedrammoni ma anche con rischio per qualcosa che fa sognare c’è poco da sperare. E’ inutile rincorrere Hollywood ma nel nostro piccolo nel cinema di genere ci sarebbe tanto da fare.

Concordo.