Titolo: Rock Of Ages
Regia: A. Shankman
Anno: 2012
Paese: Usa
Durata: 123’ (136’ extended version)
Cast: Tom Cruise, Paul Giamatti, Diego Boneta, Julianne Hough, Catherine Zeta Jones, Alec Baldwin
Produzione: New Line Cinema
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Rock Of Ages è una una glorificazione onanistica del rock per i rockers, con quella cifra costantemente borderline tra l’epico ed il ridicolo alla School Of Rock. L’inizio è da Play Station, con il titolo del film sparatissimo modello Guitar Hero, e lo stile è un po’ quello, ma in fondo chissene, è la musica ad essere la vera protagonista, quindi “let the music do the talking”. Molto interessante l’idea di far re-interpretare ai vari attori i pezzi storici del repertorio anni '80, anziché riproporli in originale mera come colonna sonora. Scopriamo così che Tom Cruise, ad esempio, ha un’insospettabile dote canterina, che non lo renderà il novello Bon Jovi (sua l’interpretazione di “Wanted Dead or Alive”) ma gli dà lustro e dingità.
La trama è abbastanza ovvia e scontata, e a tratti ripete vistosamente la sceneggiatura di Burlesque (con Julianne Hough, anche fisicamente somigliante alla Aguilera, che fa la ragazzotta di provincia che si reca nella città tentacolare, ha “talento”, inizia facendo la cameriera poi finise al palo, letteralmente. Alla faccia delle coincidenze).
Di per sé Rock Of Ages è una immensa stupidaggine, credo che un non rocker non potrà che trovarlo vano ed insulso; ma la sua cifra è l’autoreferenzialità, e quello che perlomeno ha fregato me è l’effetto nostalgia, perché quando in dolby sorround ti parte una “Don’t Stop Believin’”, una “Here I Go Again”, una “Pour Some Sugar On Me”, o una “Notihn’ But A Good Time”, la commozione esplode incontenibile, è come ridiventare bambini. Sostanzialmente non c’è una copertina di album che appare nel film che io non possieda, quei manifesti, quelle magliette, quei dischi sono parte integrante della mia adolescenza e oltre; è come guardare un album di foto di famiglia, momenti belli e brutti che fossero, sono tuoi, ti appartengono e ti rappresentano, quindi li accarezzi con gli occhi, pieno di affetto e comprensione.
Non so però quanti rocker saranno disposti ad ammettere che sotto la patina “mitica” ed esaltatrice del film, si nasconde un bel po’ di ironia e di perculamento. Quei personaggi, quei luoghi, quelle situazioni, viste con occhi più distaccati e meno coinvolti, non possono non apparire ridicoli, puerili, sciocchi. Il personaggio di Stacey Jaxx (un bell’incrocio tra Axl Rose - ha pure le pistole tatuate sull’inguine e la bandana in testa - Jim Morrison - tutte le puttanate filosofiche che continuamente dice - e David Lee Roth - il cantante di successo di una band che diventa eroico solista) è insopportabile, il che significa che Tom Cruise lo interpreta ottimamente. Debosciato, mentecatto, alcolizzato, strafatto, vanaglorioso, ebete, il perfetto ritratto del rocker losangelino degli anni '80, sostanzialmente un deficiente, amato però dalle folle di ragazzini/e urlanti, come fosse un Messia. E così tutta la ritualità ed i parafernalia del rock n roll, riti assurdi e senza senso.
Miliardi i riferimenti che un rocker vissuto in quegli anni può cogliere nel film, da Catherine Zeta Jones che richiama neanche troppo velatamente Tipper Gore e le sue crociate anti metal (spettacolare il suo numero di “Hit Me With Your Best Shot”) al mondo dei locali del Sunset Strip Boulevard, per non parlare di tutte le band citate o alle quali si allude metaforicamente nei dialoghi e persino nei nomi dei personaggi.
Fantastico Alec Baldwin, dispostissimo a prendersi per il culo con un personaggio molto buffo. Personalmente pianterei un paletto di frassino nel cuore di Russel Brand, ma alla fine, nell’economia del film, ci sta anche lui.