Tema di Marco (Massimo Antonelli, 1972)

L’opera rientra a pieno titolo nella categoria dei verbosi film dei “borghesi annoiati” (di cui Brunello Rondi è il massimo esponente), in cui vediamo membri dell’alta società che non hanno niente da fare da mattina a sera intenti a sproloquiare a ruota libera, intavolando discorsi a cavallo tra filosofia, società, costume ed attualità, senza lesinare su giudizi tranchant e supponenti in merito ad operai, proletari e gente del popolo.

L’esordiente Antonelli però (chi era costui? Da dove arrivava? Che ha fatto dopo?) si lancia in una commistione tra questa tipologia di drammi di ambientazione altolocata ed il cinema politico caratteristico della sinistra dell’epoca (le sequenze che ritraggono ricchi industriali e membri del clero intenti a teorizzare il perfezionamento del sistema capitalistico e le strategie per mantenerlo in salute nonostante la presa di coscienza della classe operaia sono alternate a immagini di repertorio di manifestazioni sindacali o rivolte popolari).
La pellicola si distingue anche per l’uso di un simbolismo spinto, che ha l’intento di dipingere con una caratterizzazione grottesca e moralmente disdicevole questa élite dominante.

La storia, che si dipana descrivendo le modalità attraverso le quali la suddetta alta borghesia impone in modo coercitivo i propri valori e la propria visione del mondo, si focalizza sul personaggio di Marco, erede di un grosso magnate dell’industria. Il giovane vorrebbe mettere in discussione i rapporti di classe che intercorrono con le altre classi sociali ma si ritrova imprigionato nel suo ruolo e nel contesto a cui appartiene, riuscendo soltanto ad osservare le storture e le ingiustizie che quotidianamente si verificano senza però essere in grado di sovvertire l’ordine delle cose. Tra preti che sfruttano decine e decine di chierichetti per timbrare più velocemente montagne di carte bollate e consessi di altolocati nullafacenti che per riempire le loro vuote giornate passano il tempo a lucidare i propri fucili da caccia, il film si trascina stancamente fino alla sua conclusione e nonostante i parecchi spunti validi non riesce a catturare in modo efficace l’attenzione dello spettatore (quantomeno non quella dello spettatore odierno), che si ritrova a sua volta imprigionato nella spirale di noia che avvolge i personaggi di questa pellicola.

Degno di nota il motivetto coi caratteristici vocalizzi aggraziati realizzato dal coro di Nora Orlandi.

4 Mi Piace