The inner cirlce - Il proiezionista (A. Konchalovskiy, 1991)

Semi kolossal del russo che tornò in patria con l’intento di raccontare una fase del periodo Staliniano filtrato dall’ottica di colui che fu il suo proiezionista di fiducia (tale Alexander Ganshin). La confezione adeguata purtroppo non viene altresì accompagnata da un’altrettanto trama interessante. La parte migliore è indubbiamente (per me) la prima ; cioè quella in cui ci viene -come da prassi cinematografica- rappresentato grosso modo il clima di soggezione in cui vivevano i cittadini russi durante la dittatura, tra scontentezza malcelata e fanatismo idolatrico verso il “piccolo padre” di madrepatria Russia (niente di nuovo per chi conosce anche un minimo di “1984” et similia ma comunque stuzzicanti da vedere).
Qui Hulce, già perfetto idiota di Stato, ci dà modo di sbirciare i fastosi corridoi del Cremlino (ed i suoi abitanti) da vicino ; e seppur Konchalovskiy non si risparmi alcune scene che definirei “americanate” (l’umile proiezionista da sottoscala che fa il fenomeno montando la pellicola quasi alla cieca sotto gli occhi sbalorditi dei soldati oppure sempre Hulce che dà lezioni di meccanica (?) ad un costruttore di cineprese…insomma, il classico fenomeno “cool” ma adattato ai russi), il tutto è comunque ben orchestrato e si fa diligentemente seguire questa entrata nella “cerchia ristretta”. Ad affossare tutto ci pensa la moglie e l’insistente rottura di palle sul suo volere adottare una bambina; davvero poco utile e tirata per le lunghe.

La seconda parte è praticamente un lento procedere verso un finale senza sussulti, in sordina ed annacquato da drammi famigliari che già qua e là minavano la prima parte (per fortuna contenuti, sebbene a stento). C’è un salto temporale in cui non ci vengono più mostrate le proiezioni private di film per Stalin e la sua cricca né ci viene mostrato “come” Hulce abbia fatto una certa carriera decennale all’interno dell’esercito russo (ad un certo punto gli viene praticamente intimato di dover portare nomi di spie ma il tutto finisce lì) e quindi viene a mancare quel lato diciamo “corrotto” del protagonista che scende a patti col diavolo per campare.

Peccato. Per me è il classico film che non si capisce bene dove voglia andare a parare: non parla in maniera approfondita di dittatura e non affronta in maniera concreta il privato (se non ricorrendo a scelte improvvise e drastiche) di chi la subisce o vi si unisce per ambizione o dabbenaggine (Hulce a tratti c’è ed a tratti ci fa, anche a distanza di anni).