Truth - Il Prezzo della Verità ( James Vanderbilt, 2015)

E quando Bush Dabliu evitò il servizio militare in Vietnam a mezzo raccomandazioni? Ce lo racconta Truth. Poteva essere un film assai più duro, scomodo, spigoloso, incalzante, teso, ma non lo è, o perlomeno lo è in forma minimale ed estremamente edulcorata. Si ha l’impressione che la grande forza ed il carisma dei primi attori vengano utilizzati perlopiù a fini di spettacolo spicciolo e hollywoodiano (troppi i piagnistei ed i cedimenti emotivi della Blanchett), che per dare nerbo e polpa ai fatti. Truth ha più i toni della fiction che del grande cinema americano di denuncia (ben 40 anni fa si faceva Quinto Potere, per dire…).

Bella fotografia, attori superlativi (nonostante Redford sia sempre più epidermicamente incartapecorito), dialoghi spesso vacui, un tempo enrome (125 minuti) andato sprecato. Tra i comprimari, la caratterizzazione semplificatoria va per la maggiore, c’è il marine tutto d’un pezzo (Quaid), il giovanotto di alleggerimento comico (Topher Grace), la Bridget Jones goffa ma affidabile (Elisabeth Moss), il marito premuroso da Mulino Bianco della Mapes/Blanchett, i capi struttura della CBS cinici e risoluti, l’avvocato rassicurante dal consiglio giusto al momento giusto, etc. Molto timido l’accenno di riflessione sullo stato dei Media e della tv di informazione oggi. La regia dell’esordiente (e sceneggiatore) Vanderbilt non aiuta, limitandosi a ripercorrere calligraficamente - ed un po’ emotivamente - tutta la storia, senza lasciare grandi segni, né avere il graffio dell’autore o di chi intende osare (in una direzione o nell’altra). Peccato perché con dei pezzi da novanta nel cast come Redford, Blanchett e Quaid si poteva legittimamente aspirare a qualcosa di più portentoso.