Viol@ (Donatella Maiorca, 1998)

Marta è una ragazza solitaria, vive col suo cane Oliver e raccoglie dati per un’agenzia che produce sondaggi. Entra nelle case degli sconosciuti: li intervista, li ascolta e trascrive le loro risposte. Il suo capo la considera una delle migliori, e per questo motivo le assegna un’indagine particolare, legata al mondo delle chat erotiche. Usando il nickname da cui il film trae il titolo, Marta inizia a mulinare in un mondo a lei prima sconosciuto, attratta soprattutto dalle parole di Mittler, il primo utente che le chiede di spostarsi nella sezione privata della chat. Marta inizierà a spingersi sempre più in un buio non più delimitato dalla virtualità imposta dal mezzo. Una oscurità illuminata da uno schermo che poco a poco la seguirà in ogni angolo della casa, diramazione del suo corpo e, allo stesso tempo, oggetto da cui la mente della protagonista inizia a essere dipendente: unico argine alla solitudine e alla malinconia che sempre di più emergono di riflesso, soprattutto se si ripensa alla prima parte del film, in cui la protagonista, per via delle interviste che conduce, si ritrova catapultata nella segretezza labirintica sbattutale in faccia dalla vita altrui: una rete stretta intessuta di sogni, desideri e paure, nei confronti della quale la protagonista patisce il ruolo di spettatrice. E sarà proprio l’asfissia prodotta da questo ruolo a condurla verso Mittler e la svolta enigmatica che lo sconosciuto potrebbe rappresentare.

Film d’esordio di Donatella Maiorca, la quale offre una regia superlativa con la mdp dinamica, ma sempre funzionale al racconto, ottima composizione dell’immagine e con uno sfondo d’atmosfera torbido e umbratile che alimenta il mistero in modo serrato e preciso, tale da fare sì che si rimanga incollati allo schermo per tutta la durata del film. Decisivo anche l’ottimo lavoro fatto sul suono, sui silenzi e sulla colonna sonora scelta. Perfetta Stefania Rocca nel dare corpo ai chiaroscuri della protagonista: ho fatto fatica a non innamorarmene, non tanto per le nudità rivelate, quanto per aver incarnato una malinconia pura e senza sbavature, e per aver restituito sullo schermo l’incontrollata voglia di contrastare un sentimento ingiusto e stratificato come quello della solitudine.

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lo vidi all’epoca un paio di volte, non era affatto male e se non erro è anche il primo film a gravitare per intero sul sexting. ovviamente più di tutto ho ancora impresso il finale, beffardo e di enorme verosimiglianza.

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