TESTO LIBERAMENTE ADATTATO DAL LIBRO:
365 delitti uno al giorno. di Alessandro Riva, Lorenzo Vigan
Data 25 aprile 1990 h 24.00
Dove: Roma Via Castro Pretorio - Appartamento della vittima
Vittima: Domenico Semeraro, di anni 44, ex professore di applicazioni tecniche, ex comparsa di cinema, imbalsamatore. aka Mimmo aka il Nano della stazione Termini
Cause della morte: strangolamento
Arma del delitto: foulard azzurro a pois bianchi griffato Balenciaga
Sospetti: Armando Lovaglio 21 anni convivente della vittima e suo amante
Michela Palazzini, di anni 20, amante del Lovaglio, da cui, nel 1989, aveva avuto una bambina.
Movente: morbosità assortite, liberarsi dell’invadenza ossessiva del Semeraro
«Sì, ho ucciso io Domenico Semeraro. L’ho ucciso con queste mani. Era un essere ignobile, obbrobrioso. Mi aveva schiavizzato. Non meritava di vivere… Mi aveva minacciato di mettere in giro le foto che aveva scattato a me e a Michela in certe posizioni. Ci costringeva a fare certe porcherie di fronte a lui, e scattava. In cambio di quelle esibizioni mi ospitava nel suo appartamento, dove imbalsamava animali, soprattutto razze protette, usando certi acidi particolari. Aveva minacciato me e Michela di gettarci in una vasca piena di quelle sostanze tremende e di lasciarci sciogliere dentro, se non avessimo accettato le sue condizioni. “Voglio che veniate a vivere con me, per un ménage a trois”, ci aveva proposto. “Non tagliatemi fuori dalla vostra vita, altrimenti con i miei acidi vi distruggerò, come anni fa ho fatto con un ragazzino che non ci stava”…
«Quel giorno, io andai da Semeraro all’ora di pranzo, insieme a un mio amico.Cominciammo subito a discutere, sempre a causa di Michela. Per offendermi, Mimmo se ne uscì con una delle sue solite invenzioni: “Michela mi ha detto di averti visto in intimità con un altro ragazzo: vergognati”. Non reagii e me ne andai. Tornai a casa di Mimmo verso mezzanotte: non riuscivo a dormire, e avevo voglia di droga. Ero sicuro che lui me l’avrebbe data. Mimmo, nonostante il diverbio che avevamo avuto, fu contento di vedermi. Era calmo, e aun certo punto chiamò per telefono Michela e le disse di venire a casa. “Dobbiamo discutere tutti e tre: dobbiamo chiarire definitivamente il nostro rapporto”. Quando Michela arrivò, iniziò subito una lite furibonda. A un certo punto mi alzai e mi diressi verso la porta. “Ora io e Michela ce ne andremo per sempre”, urlai. Semeraro si mise tra me e la porta dicendo: “No, ti prego, non andartene. Domani andremo tutti e tre a Ostuni per fare una vacanza. Servirà a chiarirci le idee”. Ci calmammo, e iniziammo a parlare dei nostri problemi. A un certo punto mi alzai e andai verso la cucina. Volevo prendere una bibita dal frigorifero. Sentii Michela che urlava: “Armando, stai attento!”. Mi voltai e vidi Mimmo che si stava avventando contro di me: in mano aveva uno di quei bisturi che usava per imbalsamare gli animali. Lo presi per il collo e lo strangolai con il suo foulard. Poi lo lasciai cadere per terra. Non sembrava ancora morto, rantolava. A quel punto lo presi a calci, fino a quando non respirò più. Poi misi il suo corpo in un sacco dell’immondizia. Più tardi lo trasportai in una discarica, e lo abbandonai. Feci tutto questo da solo: Michela non c’entra.»
Dalla confessione di Armando Lovaglio