Un film larger than life, tratto dall’acclamato libro di Tennessee Williams (che vinse il Pulitzer), il sommo (e dannato) Kazan che dirige Brando & Vivien Leigh (che essendo già pibolare di suo si trovò sull’orlo del precipizio con questa interpretazione), un Karl Malden nel ruolo della vita, e lo stesso per Kim Hunter, 4 Oscar e 8 nominations. E un film circolato sempre in versione edulcorata, restaurato nella sua integralità solo nel 1993. Tensione, sesso, miseria e povertà, la disperazione degli emarginati: l’american dream non esiste a queste latitudini.
Pensare che l’attrice inglese venne imposta dalla WB. Kazan non la voleva. Invece si rivelò perfetta.
Consacrazione di Brando, a livello attoriale ed erotico. Il suo Kowalski è orrendo dentro, ma bellissimo fuori. L’attore stesso, diceva “Kowalski rappresenta tutto ciò che odio in un uomo”. Il grosso limite dell’edizione italiana, peraltro, sta nel doppiaggio del protagonista. Stefano Sibaldi è assolutamente fuori luogo, sbagliato, ridicolo. Imbarazzante. E vergognoso, nei confronti del lavoro svolto in originale da Brando. Meno male che, alcuni anni dopo, arriverà l’immenso Rinaldi…
A rischio di andare fuori argomento, ma Sibaldi faceva parte della vecchia generazione dei doppiatori. Quelli dalla voce impostata, dalla dizione perfetta a dir poco asettica. Ma zero cuore. Questo purtroppo ha portato a pensare il pubblico italiano che tutti gli attori americani recitassero così. Del resto ne ho già scritto.
Io invece ho detto, in altra sede, che Sibaldi semplicemente aveva la voce da pirla. A prescindere dalla “generazione” a cui apparteneva…