Pazzesco tentativo di farsi portatori di istanze femministe buttate ad cazzum in mezzo a lesbicate e copule di vario tipo. Ho messo 1974 perché anno in cui uscì, ma il film era gia pronto quattro anni prima, ritardò l’uscita a causa dell’irremovibilità del regista di fronte alle richieste censorie.
Mai visto, ma il titolo mi aveva incuriosito leggendolo su Platea in piedi. Questo perché associato a un divieto ai 18.
Mi sia consentito un mio piccolo contributo per spingere alla visione di questo film inneggiante un femminismo d’accatto. Pur non raggiungendo le vette stilistiche di “Compagne nude” del Pischiutta-Ballantines, il film è a mio giudizio degno di nota per rimirare il “pelo al vento” della Adiutori, misteriosamente sparita dalle scene dopo i frizzanti anni settanta e della quale è d’obbligo acquisire notizie…
Pretenzioso “non film” di un “non autore” che non incassò ovviamente una lira al tempo della sua uscita in sala.
Un “non copione” basato su una “non trama” ci narra di un cinico e facoltoso imprenditore di provincia (Mario Bardella), immerso e travolto dalla ventata di “culturalità” post-sessantottina e rivoluzionaria del periodo. Al fine di lanciare sul mercato un’invenzione che, a detta sua, sarà destinata a stravolgere completamente la civiltà dei consumi, decide di affidarsi a un giovane scrittore intellettualoide e rigorosamente di sinistra (Nino Segurini), “corrompendolo” in denaro al fine di coniare lo slogan pubblicitario più adatto allo scopo. Come ambìto premio per tutti coloro che avranno avuto il coraggio e la costanza di resistere sino alla fine, l’identità del prodotto in questione sarà svelata soltanto in un finale che preferisco non anticipare per consentire alla comunità cinefila tutta di scatenarsi in una fragorosa e catartica valanga di crasse risate involontarie. Nel frattempo, sempre in linea con il clima libertario e anticonformista, Serena (una conturbante Patrizia Adiutori), amata consorte del testè citato “tycoon de noartri”, impiega le proprie giornate in compagnia delle altre mogli della cricca di notabili. Nel vomitarsi reciprocamente addosso immancabili pistolotti sulla pretesa liberazione dallo storico strapotere del maschio, si giungerà alla conclusione che il tempo libero non deve essere unicamente dedicato a mettere le corna ai rispettivi mariti ma anche al dovuto e doveroso impegno politico (sic!).
Noioso sino all’inverosimile, invecchiato malissimo e stiracchiato con dialoghi inutilmente verbosi e cervellotici, il Trentin, pensando di essere un novello Jean Luc Godard, tenta maldestramente, senza ovviamente riuscirci, di descrivere l’impatto che ebbero cultura e controcultura anarcoidi e post-sessantottine sulla nostra sonnacchiosa e statica vita di provincia. Alle immagini di repertorio delle varie manifestazioni sindacali, sulle note addirittura dell’“Inno a Ho Chi Min”, si alternano inspiegabili e altrettanto inutili illustrazioni con piglio e toni da “Touring Club”, dei maggiori monumenti patavini e vicentini, nonchè degli esterni delle splendide ville palladiane.
Le movenze da teatro d’avanguardia completamente a casaccio che accompagnano quasi ogni gesto attoriale, soprattutto femminile, contribuiscono inoltre non poco alla ridicolaggine e all’insensatezza della messinscena.
Sovente trasmesso dalle prime “mitiche” emittenti private ante “legge Mammì”, il film rimase bloccato per circa due anni a causa dell’irremobivilità da parte del regista di compiere i tagli imposti in sede censorea (N.B. come attentamente rilevato dall’amico Henry Silva).
Al fine di rendere il prodotto “popolare” il Trentin, con buona pace per noi poveri spettatori delle terze visioni, zoccolo duro degli incassi dei films dell’epoca e assai poco avvezzi ad assorbir sì ardite elucubrazioni intellettualistiche, non lesina infatti nudi femminili anche integrali del notevole gineceo a disposizione, nonchè scene spinte quasi da “versione per l’estero”.
Pur senza raggiungere i livelli di trash del futuro “Compagne nude” del Pischiutta-Ballantines, da me recensito in uno dei miei inspiegabili impeti autolesionisti, il film si fa ricordare per l’interpretazione nel ruolo di Serena di Patrizia Adiutori, abituale vittima sacrificale degli italici thrillings del periodo e che dopo il “Torso” di Sergio Martino deciderà inspiegabilmente di sparire dalle scene. Non disponendo dell’espressività di un’Anna Karina o di una Jeanne Moreau, la nostra rimarrà comunque scolpita nelle cinefili memorie nel farsi impartire imperdibili “cunnilingus” ora con le mutandine da un invitato a una trasgressiva festa, ora con il pelo al vento dal bolso maritino imprenditore in una ripresa allo specchio dall’impatto “weirdo” davvero notevole.
Tra le altre poche cose degne di nota si segnala la simpatica parentesi dialettale in uno dei tanti momenti conviviali della pellicola, a richiamo delle tradizioni contadine e popolari quale reazione a coeve contaminazioni culturali estrogene.