Antelope Cobbler (Antonio Falduto, 1993)


Che strano film questo Antelope Cobbler.
In certi frangenti risulta non completamente riuscito, soprattutto a causa di una recitazione degli attori talvolta poco convincente e per degli sviluppi narrativi un po’ ingessati. In altri momenti invece appare suggestivo e intrigante.
È la storia dell’irreprensibile direttore di un grande supermercato che, dopo aver avuto un faccia a faccia con una taccheggiatrice, viene da lei irretito e le sue certezze pian piano scricchiolano, portandolo in un corto circuito un po’ allucinatorio nel quale rimette in discussione la sua condotta valoriale, venendo attratto dalla trasgressione e dall’infrazione delle norme.

Il film, ambientato in un megastore chiamato Iper2000, è in realtà completamente girato all’ipercoop di Modena (hanno messo un grande “2” posticcio sulla “C” dell’insegna Coop per camuffare il marchio originale della catena). Può essere interessante per chi è del posto guardarsi un film interamente girato nel supermercato sotto casa.

La connessione con il caso Lockheed (Antelope Cobbler era il destinatario di alcune tangenti relative a questo scandalo) è del tutto flebile, ricollegandosi al fatto di cronaca attraverso alcuni riferimenti (annuncio alla radio, titolo di quotidiano) disseminati all’interno del film, che inducono la protagonista femminile a nominarsi ad un certo punto proprio “Antelope Cobbler”, ma il tutto finisce qui. Se c’è qualche riferimento sottostante più significativo, io non l’ho colto.

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Sicuramente - come spesso accade - i primi minuti lasciano presagire uno sviluppo ben più interessante di quello che poi andrà a realizzarsi concretamente (carino l’inizio con la corsa in soggettiva). Osservandolo in modo retroattivo, è come vedere una puntata di “Centovetrine” ante-litteram, soprattutto nelle insipide e marginali trame interne all’ipermercato, sorta di passaggio obbligato per definire l’ambiente umano di quel micro-cosmo in cui si svolge la vicenda.
Il personaggio della Cavallotti è un “deus ex machina” dal fiato corto, mal sfruttato (per tacere della macchietta di Cinieri…) ma sinceramente dopo l’avvio promettente il film inizia a girare a vuoto ed il “corto circuito un po’ allucinatorio” (cit. FnF) rischia di apparire risibile (della serie: dove vuole andare a parare?).

Finale tirato abbastanza via, una magagna (in apparenza non da poco) viene risolta da un’inquadratura all’altra mentre quel labiale volutamente coperto dal frastuono ambientale non sono riuscito né a decifrarlo né a capirne il senso…

Per quanto riguarda il titolo del film, mistero. Potrebbe essere una vaga metafora sul personaggio “corruttore” nei confronti di un altro o semplicemente un vezzo artistico (ed ho il sospetto che sia così).

Nota a margine sull’importanza della musica all’interno di un film: sicuramente in questo caso il commento sonoro merita un plauso (e non di rado mi è capitato di trovarne d’interessanti nella produzione italiana dei primi anni '90) per la sua efficacia nel creare una certa atmosfera “thrilling” ma -visto l’esito dell’opera- esse finiscono loro malgrado per risultare sin troppo enfatiche per un prodotto in fin dei conti scialbo.

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