E’ un film estremo. Estremo parecchio, parecchio, parecchio e ancora parecchio.
Un film portato a destinazione da una persona che sta (stava) male. Che soffre (soffriva) parecchio.
E’ talmente estremo che chi è abituato a lumarsi Siffredi che gioca a giro-banana con Sandy o chi è sempre a caccia di snuff pecorecci potrebbe interrogarsi a lungo sul significato di quel “v.m. 18” che, appunto, campeggia sulle tipologie visive qui citate. Questa pellicola, per quanto mi riguarda, potrebbe essere vietata a qualsiasi età. Visto che, ridere per quanto qui viene rappresentato, è certamente sintomo di una visione del mondo alquanto incerta, di un equilibrio non ancora raggiunto.
Come al solito c’è chi ha la sensibilità per coglierne tutto l’orrore o quasi tutto. Ma spero siano in pochi - e lo spero per loro - ad essere in grado di captare tutto il dolore che qui è cuore di ogni cosa.
Chi ha guardato il lungometraggio pesando sperma e sangue, beh, ha preso la tangenziale per arrivare in piazza del Duomo. Una settantina di chilometri in più per non vedere manco la Madonnina da lontano. Turisti per caso.
Chi guarderà il film, cercando invece di vedere, uscirà comunque dalla sala potendo spremere litri di buon succo dai dubbi che si porterà in tasca per qualche giorno.
Tanto per farvi capire quanto la pellicola si presti a sovra-intendimenti ed incomprensioni senza fine, vi fo giusto un esempio. In sala, seduti esattamente alle mie spalle, ci stavano il primario di un ospedale cittadino e due suoi psichiatri. Questi tre signori, certo non di cultura media, si son lanciati in tali conclusioni e supponenze che sì, lì ci sarebbe stato forse anche un po’ da ridere.
Io, con alle spalle solo la mia piccola tesi in psicologia sociale ed il mio background prettamente artistico, almeno la rappresentazione del quadro di Bosch, quella l’ho colta immediatamente. E tutti quelli che han studiato arte sanno che Bosch = Dolore, Peccato, Inferno.
La prima parte del film, così incensata da molti, a me non ha convinto pienamente. Rimane la porzione dell’opera più patinata ed accettabile ma è troppo intenta a rincorrere una certa poetica del girato digitale che con me non va mai a nozze certe. E così i due protagonisti, più che esprimersi al loro massimo, qui fluttuano nel delirio onirico di una fotografia notevolissima e, fra tutte quelle slow-motion strascicatissime, si pigliano pure delle belle boccate di cinefilia spinta (il film omaggia Tarkovsky, Sokurov, l’“espressionismo” nordico e pure dell’altro).
Ma poi arriva la pesantezza.
Arrivano i tempi lunghi.
Arrivano i primi piani esasperati.
Arrivano i dialoghi al cemento, i sussurri & le grida, il livore ambientale, una cappa di dolore a soffocare ogni cosa.
Arriva, insomma, il Posto Delle Fragole E Del Sangue.
Eccolo, è arrivato il cinema nordico certificato iso9999.
E non c’è più scampo.
Ed ecco che sbocciano in pieno i tre protagonisti: il Dafoe, la Ginsbourg e Madama Natura. Madama Natura che Regna e che da il titolo al film.
Ma mentre quasi tutto il pubblico ha compreso la pregnanza dei due attori (difficilissimo trovarne due più azzeccati), quasi nessuno si è accorto delle virate di Verde che la pellicola andava sempre più assumendo. Il Verde diviene pian piano il protagonista assoluto e spiace leggere quà e là di critici ed osservatori prezzolati intenti nella numerazione delle apparizioni dei genitali senza accorgersi di dove veramente Antichrist stava andando a parare. E così spiace di leggere come in molti abbiano colto come estreme le sequenze in cui è la carne umana a farsi protagonista. Non accorgendosi che l’estremo, tutto l’estremo di questo mondo, stava altrove: la testa della donna che muta nel colore delle felci, le urla ancestrali dagli abissi dei tempi, il daino, le ghiande, la volpe, il girato otticamente distorto della foresta, gli omaggi iconografici al Fiammingo.
Il Verde, la Natura, la reggia di Satana, l’Anticristo Assoluto.
Un film non perfetto credo, ma assolutamente da vedere. Ma senza gli occhialetti 3-d, alla ricerca di effettoni da luna park domenicale. Perchè qui non c’è bisogno di nessuna terza dimensione. Il significato così drammatico, l’interpretazione così spinta dei due (la Ginsburg che si masturba selvaggiamente è roba che manda al Mariuccia col ciucciotto qualsiasi Jenna Jameson lavori oggi nel cinema hard) bastano e di molto avanzano per attraversare pure la quarta dimensione.