Ecco qui due sue lettere scritte da San Vittore:
- Lettera di Piero Cavallero – San Vittore.
Milano, 3 maggio 1971.
Il mio passato, la mia giovinezza, il Partito, i compagni, le lotte, tutto ciò che mi diede gioia e gusto di vivere, e che ho perduto, mi è balzato agli occhi, per un attimo […]. Ho un grumo di rabbia e di disperazione, dentro, soprattutto con me stesso. Vedi, non mi duole d’aver perso tutto, mi duole d’aver distrutto in me stesso il mio vero oggetto d’amore! il legame con il movimento rivoluzionario. Ognuno di noi si realizza pienamente solo abolendo ogni falsa coscienza, unificando la sua vita – e pacificandola – nell’identità tra la buona coscienza e il buon comportamento. Ognuno si ritrova solamente nell’ambiente, nel modo di vita che coincide con le sue aspirazioni, le sue credenze; per me la buona coscienza era ed è la coscienza di classe, e la mia classe è il proletariato – era… accidenti! – Perciò solo nel proletariato e nella sua avanguardia mi ritrovo, e posso vivere.
Non eravamo una “banda”. Abbiamo cercato di essere un’organizzazione, un Gap; anche in pochi, ciò sarebbe bastato a rompere la cappa di piombo, nella Torino '60. Poi abbiamo fatto un casino. Io mi sono comportato come un bastardo borghese, in un certo senso. Così quel che di buono c’era in noi e nei nostri progetti, è finito in merda. È stato inutile che io abbia studiato per anni i “sacri” testi di Carlo, Giuseppe, Vladimiro, eccetera, o che noi abbiamo per anni vissuto la vita di partito. O che abbiamo imparato a diventare abili combattenti, rotti a tutte le difficoltà, i pericoli, le astuzie della guerriglia e della illegalità. E la colpa è solo mia. Questo è quanto mi rode dentro. Oggi anche noi avremmo potuto essere utili, in Italia e altrove. E invece… Non è solo il fatto di “essere dentro”, almeno per me. È qualcosa di più grave, insuperabile, è l’impossibilità di “rientrare” nel movimento rivoluzionario, è la squalificazione morale e politica, irreversibile. In questo senso mi sono “dannato”, ho “perso l’anima” e la tentazione di compiere il salto definitivo – passare al nemico – c’è stata. Ma è un salto che non ho potuto compiere, c’è una impossibilità assoluta; anche se sono squalificato, anche se sono solo, anche se sono ormai libero moralmente – essendo materialmente schiavo – di scendere ad ogni compromesso, tuttavia non posso farlo, sarebbe un suicidio. Ho già perso tutto, almeno voglio restare in pace con la mia coscienza.
È tremendamente difficile parlare coi detenuti, il passato, la condanna, lo stigma sociale, la condizione di illibertà eccitano il sospetto contro di noi. È come un circolo vizioso: la rieducazione proposta dal sistema borghese è impossibile, ingannevole, qualsiasi metodo si adotti; l’opinione comune, comprendendo benissimo questi risultati – se non le cause – si ribella a una politica di migliorie carcerarie, a una maggior libertà nel carcere, alle riduzioni di pena. Per spezzare questo circolo, è necessario non solo un’opera di denuncia della situazione disastrosa esistente nel carcere, ma l’indicazione concreta di quel che si deve fare per recuperare socialmente il detenuto. E recuperarlo socialmente non nel senso dato a questa parola dalla letteratura borghese, ma come acquisizione di coscienza rivoluzionaria – questa è l’unica rieducazione possibile e auspicabile. Credo che il fine immediato sia la chiarificazione del problema nostro – e del sottoproletariato in generale – di fronte alla classe operaia, spiegando bene a questa che non noi, ma i borghesi, i poliziotti, i magistrati, sono i suoi nemici reali, e che le tesi dominanti sulla pena, la detenzione, il trattamento sono ingannevoli, tendono solo a riprodurre la criminalità e aumentare le frange sociali.
- Lettera di Piero Cavallero – San Vittore.
Milano, 12 agosto 1971.
L’importante è evitare compromessi e collaborazionismi di qualsiasi tipo. Anzi, ti dirò, l’unico di noi che ha tentato una via che potenzialmente poteva condurre al compromesso, sono stato io. L’ho fatto per motivi molto seri, con intenti precisi e con lealtà, apertissimamente, ma è stato solo un tentativo in quanto, pur con tutta la serietà e l’onestà, non è possibile rimanere puliti, battendo strade ambigue… Ma ciò appartiene al passato, e durò un breve periodo di tempo, giusto il tempo per sperimentare di persona quanto sia pericolosa ogni illusione che si fondi sulla esclusione del concetto di “classe”. L’unica discriminante passa tra le diverse posizioni rispetto all’esercizio del dominio, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto hanno un contenuto di classe e non è manicheismo questo ma rispetto della verità, aderenza al reale. Lo diceva anche Gramsci: ogni spirito è “spirito di corpo”, cioè prende partito, fa una scelta, e poi sai bene qual è la definizione leninista della morale… Insomma non c’è dubbio alcuno: il male è dalla parte delle classi dominanti, il combatterle e l’abolirle non solo è “necessario” ma è anche morale. Se ho compiuto alcune “scivolate” nella mia vita (che in ogni caso non hanno mai danneggiato la mia classe) ciò è venuto da qualche sovrapposizione… piccolo-borghese. Ti ripeto che mi riferisco – per me – al passato; ora le cose sono molto diverse.
È molto importante quel che state facendo per la “risocializzazione” del detenuto. In effetti, anche se limitata e parziale, l’unica proposta di soluzione valida è la vostra, è limitata appunto in quanto siamo in un contesto politico e sociale che non permette iniziative più ampie. Ed è giusto condurre avanti sia la critica teorica, sul piano della confutazione degli schemi “rieducativi” (?) attuali, e la critica politica, con la realizzazione di risultati concreti alternativi, proprio sul piano del rendimento “produttivo”: carcere come luogo e come momento produttivo, ma in cui la produzione materiale delle cose è sostituita dalla posizione materiale di “uomini coscienti”… nel significato che diamo noi all’essere coscienti. Si tratta insomma di proporre il carcere come momento di “coscientizzazione”, e un uso del carcere alternativo a quello proposto e attuato dal “dominio”. Ciò implica una serie di iniziative a tutti i livelli e una azione diretta verso il detenuto, parallela ad una azione chiarificatrice, e demistificatrice, diretta verso il pubblico (proletario).
Ti prego di tenerci al corrente di ciò che fate, è molto importante.