Barriera a settentrione (Luis Trenker, 1950)

Pur non conoscendolo molto, mi è sempre piaciuto il cinema dell’altoatesino Trenker.
Il suo è un modo di fare cinema che scaturisce impetuoso dalla sua passione per la montagna, dal suo grande amore per la cultura e le tradizioni delle sue terre.

Ne nasce una cinematografia molto personale e molto affascinante, in cui è sempre la maestosità della natura a fare da padrone, la sacralità della montagna, con tutte le sue regole non scritte; ed impeccabile il modo in cui Trenker descrive l’animo delle persone che abitano questi luoghi, tanto impervi e duri quanto spettacolari e maestosi, capaci di dare come di togliere, di premiare come di castigare.

In questo caso assistiamo ad una trama di genere poliziesco, in cui due finanzieri (Amedeo Nazzari e Gabriele Ferzetti) fanno un’indagine sotto copertura per cercare di sgominare una banda di contrabbandieri che trasportano carichi di cocaina facendoli passare attraverso degli impervi passi alpini.
Dunque si tratta di un poliziesco, ma anche di una vera e propria storia di montagna, incentrata su delle figure, quelle dei contrabbandieri, che sono presenze estremamente radicate nel contesto sociale del quale stiamo parlando.

Trenker riesce a tratteggiare in modo molto efficace anche le figure dei carabinieri che svolgono servizio in quelle lande, degli uomini del sud, totalmente sradicati dai loro luoghi d’origine, che soffrono di nostalgia e che tra mille difficoltà cercano di fare quello che possono per servire lo stato adattandosi ad un ambiente che non gli appartiene, così difficile da conoscere e da padroneggiare se non sei qualcuno che vi è nato e cresciuto.

Trenker stesso recita (come spesso era uso fare nelle sue pellicole) in un ruolo iconico e memorabile, quello del gestore dell’emporio del paese che, esperta guida alpina, per riuscire a campare più dignitosamente si dà al contrabbando, sfruttando la sua conoscenza della montagna.

Visto grazie ad un telecinema piuttosto malandato, ma sempre meglio che niente.

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