Coureur (Kenneth Mercken, 2018)

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Un film sulla pagina più triste della storia del ciclismo, il maledetto periodo del doping selvaggio, in cui se volevi correre ed andare non dico più forte di tutti, ma almeno forte come gli altri, dovevi imbottirti di testosterone, EPO, ormoni della crescita e altre merde pericolosissime per la salute, oltre che eticamente scorrette dal punto di vista sportivo.

Il protagonista, Felix, è un ragazzino fiammingo che viene da una famiglia di grande tradizione ciclistica. Lì il ciclismo è come da noi il calcio, è pieno così di padri invasati che spingono il figlio nella carriera agonistica per esaudire le proprie ambizioni e desideri, senza preoccuparsi di capire se il bambino lo desideri davvero, senza lasciare spazio allo svago ed al divertimento, facendo in modo che da subito lo sport diventi competitività, metro di giudizio per dimostrare quanto vali agli occhi degli altri. Se non sei bravo sei una merda, in famiglia ti si tratta come tale, deludi le aspettative e sei considerato un buono a nulla, una pecora nera.

E così Felix si impegna anima e corpo, arrivando anche a vincere a 19 anni un campionato nazionale dilettanti. Ma, come dicevo in apertura, nel mondo del ciclismo anni 90 il talento, l’impegno e la perseveranza non bastano ad andare più forte degli altri ed a raggiungere certi obiettivi. E così è il padre stesso (pure lui da giovane corridore dilettante e tutt’ora amatore fissatissimo ed esaltato) che porta il figlio da un dottore compiacente per farsi le sue prime punturine magiche. È il padre stesso che offre ad una squadra professionista una grossa somma di denaro per ingaggiare il figlio e farlo correre come pro nel giro che conta.

Ma Felix non ci sta, abbandona il percorso tracciato per lui dal padre e si fa ingaggiare da una squadra semi-pro friulana.
Plot twist, da ora in poi il film è girato in Italia.
Nella nuova équipe Felix entra in contatto con il peggio del marciume del ciclismo: spirito di squadra ridotto sotto lo zero, metodi di allenamento basati sulla svalutazione, l’avvilimento, il ricatto psicologico, la violenza verbale; ricorso al doping sempre più ingente e sconsiderato, che lo induce ad assumere anche sostanze pericolose per la salute che potenzialmente possono dare il cancro o altri gravi problemi; altre sostanze che girano tra i giovani corridori, come anfetamine e vere e proprie droghe.
Per una serie di circostanze Felix si trova a diventare il leader della squadra e a partecipare al giro baby, ed è proprio durante questa manifestazione che verrà sottoposto a stress psicofisici estremi che, combinati ad un uso veramente smodato e criminale del doping, lo condurranno verso conseguenze terribili.

Davvero pesante emotivamente vedere come in tutto questo suo percorso verso la gloria ed il successo Felix non sia mai felice. Il suo volto è una maschera di tristezza, i sacrifici che compie non li fa per sé stesso ma per raggiungere obiettivi imposti dagli altri, per soddisfare le loro brame ed i loro egoistici desideri. Raggiungere la vetta barando non rende entusiasti, farlo per la soddisfazione altrui e non per la propria men che meno.

Tremenda la scena in cui, durante il giro baby, per sfuggire ai controlli anti-doping si chiude in un cesso, piscia e poi si inietta nella vescica un siringone di urina “pulita” passatagli da un compagno di squadra, infilandosi sto ago gigantesco nello spazio tra i testicoli e l’ano. Non sapevo che si facesse così, mi ha lasciato sconvolto.

La frequenza con cui questi ragazzi si bucavano per siringarsi sostanze dopanti era talmente elevata e il loro umore così grigio, i loro occhi così vuoti, che a un certo punto ti chiedevi se stavi guardando un droga movie o un film sportivo.
Potentissima, avvilente, una pellicola che dopo la visione lascia sullo stomaco e sul cuore uno strato di malessere spesso due dita.

Il film è tratto dalla storia vera del regista, forzato da una famiglia insensibile a fare ciclismo ed arrivato ad essere appunto campione nazionale espoir, per poi andare a correre in Italia e rendersi conto che quello sport non era fatto per lui e che il suo fisico non poteva reggere quei ritmi, quei sacrifici, quelle sostanze. E quindi poi il ragazzo che scelto di tornare in patria ed inseguire i suoi sogni di infanzia, iscrivendosi ad una scuola di cinema.

Il film si chiude con una vera ripresa del padre che viene intervistato al termine di una corsa amatoriale, mentre il figlio (il regista del film appunto) continua a chiedergli disperato quando torneranno a casa e dov’è la mamma, ed il genitore lo ignora bellamente lasciandolo parlare al vento, un’aridità emotiva da accapponare la pelle.

Molto bella tutta la parte girata in italia, si respira davvero la dimensione reale del nostro ciclismo giovanile, sebbene distorta e offuscata dai metodi di allenamento brutali e dalla piaga del doping che inglobava tutto il movimento sportivo.

È ancora online il sito ufficiale del film, pieno di roba interessante, scartabellatelo:
https://www.coureurfilm.be

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