Cycling Chronicles: Landscapes the Boy Saw (Koji Wakamatsu, 2004)

Un Wakamatsu all’apparenza diversissimo da quello dei pinku ejga a cui siamo abituati…
E invece sotto sotto le tematiche sono le stesse: riflessioni sulla morte, sull’atto di uccidere e su quello di togliersi la vita; riflessioni politiche, sulla trasformazione della società che, negli anni del protettorato degli USA, è passata da una spersonalizzazione votata al servizio del paese e dell’imperatore a un individualismo sempre più bieco e cinico; personaggi il cui destino è segnato, senza futuro, senza possibilità di scegliere e di cambiare la propria strada.

Un ragazzo, impermeabile indosso e zaino in spalla, gira in bicicletta per il giappone senza una meta precisa. Ha appena ucciso sua madre, e il suo girovagare è come un tentativo di fuggire dalle proprie responsabilità.
I paesaggi invernali che attraversa, freddi, rigidi e aridi, rispecchiano il suo mondo interiore, il suo vuoto emotivo, la difficoltà di trovare empatia e calore.

I pochi personaggi che egli incontra sono estremamente significativi e simboleggiano tematiche o argomenti che il regista vuole mettere a fuoco all’interno di questa pellicola.

È un film di silenzi, di pensieri inespressi, di dolore trattenuto, inibito, che ti dilania ma che quasi non riesci neppure a sentirlo; di emotività che è stata repressa per anni e che a un certo punto esplode.

La musica mi ha colpito molto, ci sono diversi brani di questo performer giapponese che grida sguaiatamente accompagnato da accordi suonati con la chitarra acustica, a metà strada tra uno Stefano Rosso e un John Zorn.

È vero che quando si vivono momenti particolari a livello emotivo un viaggio in bicicletta può aiutare a mettere a fuoco i propri vissuti e a mettersi nuavamente in moto, fare delle scelte, a dare una svolta alla propria vita.

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