David Irving

[left]Qualcuno ha mai letto un suo libro e può esprimerne un giudizio?

Cosa ne pensate del suo metodo di approccio storico, cioè l’avvalersi di montagne di documenti ufficiali forniti in esclusiva direttamente da parenti di ex nazi?

Lasciando stare le sue teorie negazioniste per un attimo, come lo giudicate quale storico?
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No, libri di Irving non ne ho mai letti, ma lo conosco di “fama” essendo un appassionato di storia.

Proprio ieri sera seguivo un’interessantissima trasmissione su radio 24 che parlava della questione Irving. Presente lo storico Gian Enrico Rusconi.Si diceva che non è uno storico classico, non ha frequentato l’università, non è laureato insomma. La sua preparazione è sostanzialmente da autodidatta, e una delle più grandi fortune che ha avuto è stata quella di aver imparato alla perfezione la lingua tedesca essendosi da ragazzo recato in Germania per lavoro.
Proprio durante la trasmissione, si parlava di come Irving sia convinto dell’assoluta estraneità di Hitler alla questione dell’Olocausto. Quando venne avvisato dello smantellamento di Auschwitz rispose un “ok” senza troppa preoccupazione.
Mi fermo qui, non ho gli strumenti per analizzare il suo lavoro. Faccio solo un’analisi metodologica: dico solo che uno storico serio non consulta solo fonti di parte, ma cerca di compiere un lavoro ad ampio raggio, per poi sviluppare una sintesi (non conduce ricerche mirate che sicuramente diano ragione delle sue tesi, insomma)

Lo sapete che è stato arrestato ?
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=43706&START=0

Si, ne parlavamo nel topic “crepuscolo degli dei”. :wink:

Copio e incollo dal sito: http://www.vicolodelcinque.it/storia3.htm riguardo all’altra storica diatriba che aveva visto protagonista Irving

LO STORICO SENZA DOCUMENTI

Hobsbawm sul processo Irving contro Lipstadt

di Antonio Iovane

Il processo che ha visto fronteggiarsi lo storico Irving e la studiosa Lipstadt non avrebbe ottenuto tanta risonanza se Eric J. Hobsbawm non avesse espresso, a riguardo, il proprio eminente punto di vista. La diatriba, in sé, è infatti poca roba, una scaramuccia tra semistorici (la Lipstadt è una storica part-time, Irving è proprio un mezzo storico) su una questione di diffamazione; tuttavia Hobsbawm ha saputo lucidamente smascherare quanto, a prima vista, sembrerebbe riguardare più le competenze dei giudici che degli storici: la capacità della politica di condizionare lo studio delle fonti storiche, e non, si badi bene, la storia. Ciò che veramente è in discussione non è la storia, ma lo studio documentato della storia contro la sua accettazione fideistica.

Irving contro Lipstadt

La vicenda è semplice: David Irving ha citato per diffamazione Deborah Lipstadt e la sua casa editrice, la Penguin Books, in quanto, tacciandolo di essere un “negatore dell’Olocausto” e un bugiardo, avrebbe leso i suoi interessi economici e la sua credibilità di storico. L’oggetto del contendere sarebbero state le tesi di Irving riguardo l’assenza del documento scritto che dimostri la volontà di Hitler di avallare la cosiddetta “soluzione finale”. Da qui la tesi di Hobsabwm:

“[…] dove mancano le prove o dove i dati sono pochi, contraddittori e indiziari, non si è in grado di smentire un’ipotesi, per quanto improbabile. Le prove possono mostrare in maniera conclusiva, contro coloro che lo negano, che il genocidio nazista è davvero accaduto, ma benché nessuno storico serio dubiti che la “soluzione finale” fosse voluta da Hitler, non possiamo dimostrare che egli abbia davvero dato un ordine specifico in tal senso. Dato il modo di operare di Hitler, un tale ordine scritto è improbabile, e non è stato trovato da nessuno. Quindi […] non possiamo, senza elaborati argomenti, respingere la tesi avanzata da David Irving”(1)

Nella sua rubrica settimanale su L’Espresso, Giorgio Bocca non ha perso tempo per tuonare contro il revisionismo e per tacciare di “cretineria” ogni tentativo di rivedere la storia attraverso i soli documenti scritti. Per l’occasione se l’è presa con Hobsbawm, colpevole, a suo dire, di aver compiuto, con le parole appena citate, un’opera di legittimazione del negazionismo. Ma la storia, si domanda il commentatore, è fatta solo di documenti scritti?! Se uno la mattina non scrive che ha fatto colazione vuol dire forse che è a digiuno?! E continua:

“La discussione revisionista sull’Olocausto è semplicemente cretina come lo è in genere la pretesa scientificità degli storici di professione. È semplicemente cretino pensare che i documenti siano la base indiscutibile della storia. Come tutti sanno o dovrebbero sapere, i cosiddetti documenti sono in gran parte scritti a futura memoria, cioè a futura buona memoria di chi li scrive. E il fatto che ci siano o non ci siano non annulla ciò che nella storia è accaduto. Se non esistono documenti da cui risulta che personalmente Attila e Tamerlano ordinarono degli eccidi, i massacri che ci furono non vengono cancellati […]”(2)

Discorsetto sul metodo

Con quel solo editoriale Bocca ha ritenuto di aver risolto uno degli aspetti più controversi della storiografia: quello delle fonti. Ma nel considerare i documenti, il giornalista ha preso in considerazione solamente quelli scritti, senza badare al dibattito storiografico circa la loro suddivisione. La storia, sostiene, non si basa solo sui documenti scritti: “se non c’è un documento a firma di Napoleone sulla strage dei prigionieri durante la campagna di Egitto resta vero che quella strage ci fu”, e su questo nulla da ridire. Ma che cos’è, quindi, che ci ha informati di quell’eccidio, se non i documenti scritti? Che cosa, se non la firma di Napoleone? La risposta è semplice: i documenti non scritti. I documenti scritti costituiscono solo una piccola sezione di fronte al magma delle fonti. La ricostruzione delle vicende politicamente scorrette legate ad Attila e Tamerlano non si basa sull’invenzione, ma, checché ne dica Bocca, sui documenti, da intendersi, crocianamente, come tracce del passato, che non si limitano alle sole fonti scritte, e questo perché “Nessun egittologo ha visto Ramsete; come nessuno specialista delle guerre napoleoniche ha udito il cannone di Austerlitz”(3). I documenti possono essere di vari generi, il dibattito sulla loro classificazione ha caratterizzato sostanzialmente la storia della storiografia ma non intendiamo riproporlo in questa sede. È sulla loro necessità che vogliamo porre l’accento:

“Langlois e Seignobos scrivevano nel 1898 che “senza documenti non vi è storia”. Samaran nel 1961 faceva eco: “non c’è storia senza documenti” […]. Lucien Febvre scrisse di considerare “la storia come studio condotto scientificamente e non come scienza”; con l’espressione “studio condotto scientificamente” egli intendeva studio condotto sulla base di una documentazione diligentemente raccolta e criticamente valutata. Lo storico insomma necessita sempre di disporre di documenti di appoggio per la sua ricostruzione”(4)

Questi “cretini”, per adoperare le categorie di Bocca, hanno insistito sulla priorità della certificazione documentaria rispetto alla deformazione politica preconcetta che guida molti studiosi nei loro ragionamenti. Allo storico spetta il compito di vagliarne l’attendibilità e di scegliere quali, tra i dati documenti, meritino in misura maggiore di essere considerati. Quello che i critici di Hobsbawm hanno messo in risalto è la presunta univocità della sua idea di storia, di una storia, cioè, corroborata dai soli documenti, scritti e non. Rincresce dirlo, ma la differenza tra ciò che sostiene Irving e quel che sostiene la Lipstadt è proprio nel possesso, da parte del primo, di una serie di documenti a prova del fatto. In quella sede, Irving non aveva negato l’Olocausto, ma semplicemente affermato l’inesistenza del documento atto a comprovare la responsabilità diretta di Hitler nel determinare la “soluzione finale”. E quindi, in questa polemica già sterile, una persona ragionevole dovrebbe propendere per le tesi di Irving, storico da interregionali le cui simpatie filonaziste sono piuttosto note, sebbene i nostri sentimenti si dirigano verso tutt’altri oggetti. Questo non vuol dire affatto negare l’Olocausto, ma orientarsi nel campo delle possibilità.

La negazione dell’Olocausto

A meno che non si creda in una congiura intergalattica a cui avrebbe preso parte una fetta non trascurabile della popolazione umana (che è ciò che i negatori della Shoah si trovano, per forza di cose, ad ammettere, ipotesi interessante per un X-files), noi sappiamo che l’Olocausto c’è stato, sappiamo cosa è stato, sappiamo i meccanismi attraverso i quali è stato realizzato. Conosciamo il numero approssimativo dei morti, conosciamo i volti dei carnefici e le loro maniere. Ma ciò da cui dobbiamo guardarci, una volta che i particolari si definiscono meglio, è l’assenza di una verifica storica documentata. La differenza tra fede e studio scientifico di un fenomeno è proprio nella attendibilità di quanto si intende dimostrare. È per questo che, senza giudicare continuamente e ricercare smentite e conferme sulla base dei nuovi documenti, si corre il rischio di anteporre il piano della fede a quello dello studio “condotto scientificamente”. Così, chi vorrà trasmettere alle prossime generazioni tutto l’orrore dell’Olocausto, rischierà di trovarsi davanti dei giovani che non vogliono credere per fede, ma che necessitano, piuttosto, di prove. Ora che anche gli ultimi testimoni diretti della “soluzione finale” stanno via via scomparendo, si fa sempre più necessario provare attraverso le fonti documentarie.

“Il caso “Irving contro Lipstadt” riguarda la più emotiva di tutte queste questioni, la cosiddetta “negazione dell’Olocausto”. Eppure, questa stessa frase appartiene a un’era in cui la condanna morale ha rimpiazzato la storia. […] nessun serio storico negherebbe che ci sono lacune o incertezze - circa fatti, numeri, luoghi, motivi, procedure e molto altro ancora - che circondano la storia del genocidio”(5)

L’Olocausto non deve trasformarsi in un mito, e lo studio della Shoah non deve basarsi sulla difesa di una versione consolidata della verità. I miti legittimanti, o quelle che Auerbach chiama “figure”(6), non sono il pane degli storici; anche se un condizionamento politico risulta, talvolta, inevitabile, i documenti devono essere al primo posto nella gerarchia dei condizionamenti. Se un documento revisionasse infallibilmente una verità storica accertata, lo storico avrebbe il dovere deontologico di correggere le versioni non corrette. Questo è l’aspetto che fa, della storia, una materia viva e in continuo movimento: sono l’interpretazione e il dubbio basati su dati reali che alimentano una visione critica del mondo, senza la quale non ci avvicineremmo d’un solo passo alla comprensione della realtà.

Il caso Irving contro Lipstadt, nonostante il giudice abbia per ora dato ragione al primo, dimostra una sola cosa: ovunque si voglia andare occorre sempre portarsi dietro i documenti. E questo sia di lezione per gli storici.

NOTE

  1. Eric J. Hobsbawm, Se la storia è soggetta alla politica, su La Repubblica del 28 marzo 2000

  2. Giorgio Bocca, Quant’è cretino il revisionista che preferisce le carte ai fatti, in L’Espresso del 13 aprile 2000

  3. Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1969, p.58

  4. Carlo M. Cipolla, Introduzione allo studio della storia economica, Il Mulino, Bologna 1993, p.34

  5. Eric J. Hobsbawm, Se la storia è soggetta alla politica, su La Repubblica del 28 marzo 2000

  6. “La provvisorietà degli avvenimenti nella concezione figurale è […] radicalmente diversa da quella implicita nella concezione moderna dell’evoluzione storica: mentre in questa la provvisorietà degli avvenimenti è oggetto di una interpretazione progressiva e graduale sulla linea orizzontale, mai interrotta, degli avvenimenti successivi, in quella l’interpretazione è sempre oggetto d’indagine dall’alto, verticalmente, e i fatti non sono considerati nel loro nesso ininterrotto ma staccati l’uno dall’altro, visti isolatamente, in considerazione di un terzo fatto promesso o ancora avvenire. E mentre nella concezione moderna dello sviluppo il fatto è sempre autonomamente assicurato, ma l’interpretazione è decisamente incompleta, nell’interpretazione figurale il fatto resta sottoposto a un’interpretazione che nel complesso è già assicurata: essa si orienta secondo un modello del fatto che è riservato al futuro e che finora è stato soltanto promesso” (Eric Auerbach, Figure)

Di Irving non ho mai letto nulla,ma le sue teorie mi sono note.Aldilà della scarsa storicità di quanto afferma,il signor Irving qualche anno fa querelò un’accademica che lo accusava senza mezzi termini di diffondere menzogne.Piuttosto squallido,da parte di chi si considera uno storico,tentare di tappare la bocca tramite i tribunali ai dissenzienti.Ora che lo stesso destino tocca a lui,immagino si consideri un martire.Vabbè…

spero tu non intenda la Lipstad quale accademica, perchè è cosa ben nota che la signora in questione è una pari di Irving ma in senso opposto.
Persino all’interno della comunità ebraica non gode di grande credibilità.

Non conosco la signora in questione.Al Tg3 la qualificavano come storica,poi magari sarà un’imbecille pure lei.Non è questo il punto:ha senso che chi si dichiara vittima di un sistema che nega la libertà d’opinione sia la stessa persona che ha trascinato davanti ai giudici qualcuno che in definitiva si comporta come lui?Irving con le sue teorie ha sbugiardato le testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio e di quanti hanno studiato l’Olocausto in maniera approfondita;ma nel momento che qualcuno ha dato del bugiardo a lui,ecco che scatta la querela.“Buffone” credo sia l’aggettivo esatto per uno così;e ad ogni modo,di rivangare la Shoa m’importa poco.Che i Nazi abbiano massacrato un bel mucchio di Ebrei è un fatto assodato,se poi qualcuno vuole negarlo perchè affascinato dalle divise delle SS o vuole ipocritamente aggrapparsi a idiozie del tipo “non ne hanno fatti fuori 5 milioni,erano meno” o magari “non hanno usato le camere a gas,li facevano morire di fame e basta” cazzi suoi.

Correggo e preciso meglio una tua citazione, perchè è la più divertente dello storico: non sono stati uccisi 5 milioni di ebrei, al massimo un milione. No comment.

Ufficialmente risulta che ne siano stati uccisi 6 milioni.
L’anno scorso ho letto il Libro nero del Nazismo di Vassilij Grossman, edito da Mondadori. Una raccolta di testimonianze di ebrei scampati ai massacri nell’Est europeo. Impressionante il racconto del tristemente famoso massacro di Babi Yar, a nord di Kiev in Ucraina. Lì, dopo un massiccio rastrellamento, furono trucidati più di 100.000 ebrei…

A me son bastati gli scritti di Primo Levi per farmi un’idea.

E dici poco…però lui ragiona sui sentimenti, non sui numeri…Irving, su questi ultimi, ha un po’ di…ehm…“confusione” in testa.
Non conosco gli autori citati da Massimiliano, che dicono?

liberato David Irving, di seguito l’articolo

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo340979.shtml

Peccato. Però anche meno male, fossi un ladro in galera non vorrei spartire la cella con simile monnezza…

Io la trovo una decisione saggia. Farne un martire non mi sembra una soluzione.

Settimana scorsa ho passato qualche giorno a Berlino e ho effettuato una visita al Museo dedicato all’Olocausto, cosa che consiglio a tutti, e discutendo con gli amici che mi accompaganavano mi era venuta la curiosità di sapere quali prove avrebbero mai potuto portare i negazionisti alle loro teorie. Devo dire che letto questo thread mi è passata la voglia.

Premettendo che mi sono informato solo per curiosità prova ad esporti in maniera “rozza” quali sarebbero i cardini di queste supposte teorie.

Sostanzialmente sono basate sulla mancanza di documenti ufficiali del reich riguardo la “soluzione finale”, su statistiche matematiche riguardo dei censimenti della popolazione prima e dopo la guerra.
Ma soprattutto sul fatto che molte camere a gas così come vennero ritrovate non avrebbero mai potuto essere utilizzate per gassare nessuno, in quanto mancanti dei requisiti fondamentali per essere letali.
Altra teoria cardine sarebbe quella in cui si afferma che nell’immediato dopoguerra nel terreno di Auschwitz non fu rilevata traccia di ZyclonB, e sempre secondo le teorie i componenti hanno bisogno di anni per sparire.

Chiaramente te le ho esposte in maniera rozza, e sinceramente non credo possano avere nessuna rilevanza storica.

Senza contare la palese malafede di chi porta avanti simili teorie. Finchè mi dichiari di non credere allo sterminio degli Ebrei, passi; ma se affermi che “nella realtà non ne hanno fatto fuori 5 milioni, ma solo un milione” come ha fatto Irving, mi stai palesemente prendendo per il culo.

Quanto al discorso “non esistono documenti scritti”, esistono eccome. L’anno scorso ho visitato vicino a Berlino la villa dove si tenne la famosa conferenza di Wannsee, in cui venne discusso e deciso il metodo di eliminazione degli ebrei. Gli atti di quel meeting fortunatamente non sono andati distrutti, con tanto di lista della spesa sugli ebrei da eliminare in Europa, paese per paese:

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5c/WannseeList.jpg

Qui una traduzione in Inglese:

http://www.ghwk.de/engl/Prot-engl.pdf

Qui l’originale in tedesco:

http://www.ghwk.de/deut/proto.htm

Irving & co. sono storici quanto lo è Wanna Marchi.

http://en.wikipedia.org/wiki/Wannsee_Conference
http://www.ghwk.de/engl/kopfengl.htm

Si hai ragione alma…il cardine delle teorie negazioniste fà perno su una supposta falsità di tali documenti e su (sempre a loro dire) interpretazione errata delle parole pronunciate da Himmler in tale conferenza.
Altro nodo interessante sarebbe quello che si basa sulle dichiarazioni di Höss, che a detta dei teorici avrebbe raccontato molte menzogne, nel disperato tentativo di salvarsi la vita.

Alcune incongruenze unite a testimonianze “gonfiate” di alcuni superstiti hanno così contribuito a porre le fondamenta per l’ondata revisionistica, che ad onor del vero a scarsissimo peso (se non nullo) a livello accademico e/o storico.

Mi limito a riportare una delle cosiddette interpretazioni revisioniste:

"l’ordine che sarebbe stato dato da Himmler in persona pare sia -Auschrottung des jüdische volkon- (l’estirpazione del popolo ebraico) la citazione corretta del discorso alla lettere sarebbe - Ich meine jetz die Judenevakuierung die Ausrottung des jüdische volkon- (intendo ora l’evacuazione degli ebrei, l’estirpazione del popolo ebraico) "

Da aggiungere che ci sono anche storici di origine ebraica impegnati in teorie revisioniste, cosa davvero singolare.