Dopo la Guerra (Annarita Zambrano, 2017)

Riflessione sul terrorismo rosso degli anni di piombo, presentata a Cannes nel 2017, sezione Un Certain Regard. La sceneggiatura si muove come camminasse sulle uova, a tratti è didascalica e molto prudente, altrove sembra minimamente indulgente nei confronti delle posizioni ideologiche del terrorismo, attraverso un frasario consegnato al protagonista Giuseppe Battiston che pare - non dico giustificare - ma contestualizzare il perché ed il percome di certi accadimenti (il vampirismo finanziario, la politica corrotta, la droga, tutti alibi che in qualche misura hanno portato la mente di brillanti intellettuali, come tali sono dipinti gli ex terroristi nel film, a intraprendere una strada estrema). Intendiamoci, in alcun modo Dopo La Guerra scusa il brigatismo, ma illustra e descrive il post terrorismo in modo asettico, cronachistico, un po’ pietistico, comunque acritico, finendo con lo stemperarne la carica distruttiva e moralmente abietta. La Bobulova (sorella del terrorista) è rancorosa, ma lo è in modo esclusivamente personale, il marito deve rinunciare alla promozione (un motivo altrettanto personale), la madre è una strana creatura, muta e totalmente priva di spirito critico, ama i figli terroristi e basta, fossero anche il diavolo. In definitiva si rimane un po’ incerti sul messaggio che arriva da Dopo La Guerra, apparentemente tutto rivolto ai microcosmi familiari e quotidiani; forse non ce n’è volutamente nessuno (che non sia il dolore), ma anche questa è pur sempre una presa di posizione.

Registicamente il film è ben diretto dall’esordiente Zambrano (già documentarista e autrice di corti), il potenziale rischio fiction televisiva è abilmente risolto, la fotografia è elegante, altrettanto le interpretazioni attoriali, sulle quali svetta quella complessa e piena di sfumature della giovanissima Charlotte Cétaire, unico personaggio carico di vita ed intensità pulsante, ed infatti vero motore degli accadimenti. Alcuni vezzi “drammatici” appesantiscono la visione; in alcuni momenti si avverte l’intenzione insistita di dare pathos al film, anche semplicemente soffermandosi per qualche fotogramma di troppo su situazioni che potevano risolversi prima, con maggior sintesi. Il tono è sempre assai composto e sobrio, tuttavia molti silenzi prolungati, la parentesi dei gattini, le ripetute pedalate al vento della Cétaire, hanno il sapore più di riempitivi estetico-emotivi che di reale materiale che porta sostanza al film.