El hotel de los ligues (Jesús Franco, 1983)

Il regista spagnolo Jesús Franco, noto per la sua prolifica opera nel cinema di genere (horror erotico, film noir e commedie sexy), ha spesso utilizzato generi apparentemente semplici per inserire critiche alla repressione sociale, al fascismo e all’ipocrisia religiosa, in linea con la sua posizione anticlericale e iconoclasta.

In “El hotel de los ligues” (1983), la trama apparentemente superficiale ruota attorno a tre coppie con problemi sessuali che arrivano in un resort e ricevono “lezioni” da un’attrice porno interpretata da Lina Romay (con lo pseudonimo di Candy Coster), che insegna loro tecniche per superare le proprie inibizioni. Questa struttura (una versione erotica di “Elles font tout”, uno dei film pornografici di Franco usciti alla fine degli anni '70) sembra una semplice farsa sessuale, ma Franco riesce a trasmettere idee di liberazione sessuale come un atto di ribellione contro la repressione ereditata dal regime franchista. Il film enfatizza l’idea che la sessualità repressa – rappresentata dalle disfunzioni delle coppie borghesi – possa essere superata attraverso un’esplorazione aperta e disinibita, simboleggiando una “riconquista” della libertà corporea in Spagna durante la transizione democratica.

Franco, che nelle interviste descriveva l’uso della nudità come un modo per “defecare in Francisco Franco e liberarsi”, presenta l’attrice porno interpretata da Romay come una figura liberatrice che sfida le norme convenzionali, promuovendo una sessualità attiva e non normativa (che include elementi come la masturbazione, il lesbismo, il sesso a tre e l’esibizionismo). Ciò riflette la evoluzione stilistica di Franco verso un erotismo estetico che differenzia il “cinema erotico” dalla “pornografia”, ma sempre con un sottotesto di emancipazione di fronte alla censura e alla morale cattolica imposta durante la dittatura.

“El hotel de los ligues” contiene una critica sociale, seppur sottile e avvolta da abbondante umorismo ed erotismo. Questo film debuttò nel 1983, in concomitanza con l’ascesa del cinema “destape”, un genere emerso come risposta catartica a quarant’anni di repressione franchista, criticando l’ipocrisia piccolo-borghese, il machismo iberico e i doppi standard nelle relazioni. In questo contesto, il film satireggia la frustrazione sessuale come sintomo di una società in transizione, dove il turismo e il consumismo (l’ambiente turistico) si scontrano con tradizioni repressive, esponendo le ansie di genere: uomini e donne vulnerabili che prendono l’iniziativa, sovvertendo i ruoli patriarcali.

Pur non essendo esplicitamente anticlericale come alcune delle sue altre opere (come i suoi ibridi di horror erotico con vampiri lesbiche che sfidano le narrazioni convenzionali), questo film offre una critica ampia e necessaria della repressione dello spagnolo medio, in linea con l’uso del corpo da parte di Franco come spazio di azione politica e culturale durante il periodo della democratizzazione spagnola. Questo approccio è evidente in tutta la sua filmografia, dove temi come il sadomasochismo e l’omosessualità femminile evidenziano i tabù come un modo per mettere in discussione l’eteronormatività e l’autoritarismo.

Oltre alla già citata Lina Romay, il cast include Antonio Mayans e la sempre magnifica Carmen Carrión.