[ESCLUSIVA] Intervista a Claudio Fragasso

Non so quanti di voi abbiano comprato o letto l’ultimo numero di Mad Movies (quello di maggio, il numero 175)…
In ogni caso conteneva una mia lunga intervista a Claudio Fragasso (8 pagine) che però è stata pubblicata in versione CUT dato che, per questioni di spazio, sono state eliminate diverse cose.

Spero quindi di fare cosa gradita postando qui l’intervista in versione integrale (e per di più in italiano).
A dire il vero questa versione è QUASI integrale dato che manca tutta la parte sulla produzione di Fragasso da Teste Rasate a Concorso di Colpa ( di cui invece si parla nell’intervista pubblicata sul giornale anche se con parecchi tagli…).

Ho postato l’intervista anche sul forum di Trauma che quindi divide con GdR quest’esclusiva (!).

Beh, eccola…

PS
La spezzetto in vari post per evitare di fare un post abnorme…

Intervista a Claudio Fragasso

Hai fatto il tuo ingresso nel mondo del cinema in qualità di assistente al montaggio e poi hai iniziato anche l’attività di sceneggiatore. Com’è avvenuto questo passaggio e com’era l’industria del cinema in Italia quando ti sei affacciato in questo mondo?

E’vero, io ho iniziato proprio come assistente al montaggio ma subito dopo ho cominciato a scrivere storie, soggetti e sceneggiature. Negli anni ’70, quando ho fatto il mio ingresso nel mondo del cinema, in Italia si producevano circa 400/450 film l’anno e quindi c’era una grande ricerca di sceneggiatori. Era un periodo prolifico, si facevano ancora tanti film western (anche se si iniziava ad essere nella fase finale del filone), si cominciavano a girare tanti film horror, Dario Argento aveva fatto ”L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo”, si giravano anche tanti polizieschi. Io ho cominciato a cavallo tra il cinema horror e quello poliziesco. Il primo film che ho scritto come sceneggiatore si chiamava “Il Medium”, di Silvio Amadio. Era un film che parlava di sedute spiritiche e nel cast annoverava Philippe Leroy e Martin Brochard. Il mio primo approccio è stato quindi col cinema horror anche se a dire il vero non si trattava di horror vero e proprio, era un film molto strano, particolare.
Poi ho scritto “Pronto Ad Uccidere”, un giallo d’azione molto interessante con Martin Balsam e Ray Lovelock. Era molto violento, in quel periodo andavano forte gli action movies italiani, era un po’ il periodo d’oro per il genere, c’erano i capolavori di Lenzi e Di Leo. Ne ho scritti parecchi di film così e variavo tra horror e film d’azione.
Mi ricordo anche “Napoli: I 5 Della Squadra Speciale”, di Mario Bianchi…
Sono stato anche il ghost writer di parecchi sceneggiatori importanti, non faccio i loro nomi perché non è carino ma ti assicuro che si tratta di sceneggiatori di indubbia fama.
Eravamo una grande industria, c’era un grande fermento, ricordo ancora che i contratti venivano firmati su dei pezzi di carta nei bar, nei ristoranti. Era un periodo in cui tutti erano fieri di fare il cinema di genere…

Nella tua formazione hai avuto la fortuna di poter imparare tante cose da un grande regista come Antonio Margheriti. Cosa ti ha insegnato e che ricordo hai di lui?

Antonio Margheriti è uno dei grandi tecnici, maestri del nostro cinema…
In Italia ci sono personaggi come Bava e Margheriti, dei veri artigiani che riuscivano a fare cinema in maniera molto diversa da come viene realizzato oggi. Loro riuscivano a completare un film dalla a alla z. Erano dentro la storia, seguivano la sceneggiatura, seguivano la regia dato che erano loro stessi registi, seguivano il montaggio perché erano montatori, realizzavano loro gli effetti speciali, garantivano una sorta di dimensione artigiana che secondo me è stata la chiave di un certo cinema italiano anche negli anni ‘30 e ‘40. Poi tutto questo è ricominciato subito dopo il neorealismo negli anni ‘60, ‘70 e ‘80 e dato che producevamo tanti film capitava che venissero fuori personaggi di questo genere. Margheriti mi ha insegnato la composizione dell’effettistica e quella del film nel suo insieme. Lui realizzava dei modellini eccezionali ma non era assolutamente specializzato solo in quello. Certo, è stato riconosciuto come un grande artigiano per quello che riguarda gli effetti (l’esplosione del treno in “Giù La Testa” di Sergio Leone è una sua creazione, tanto per dirne una), ma era capace di affrontare un film dall’inizio alla fine in maniera composita. Adesso è impossibile farlo mentre lui a quei tempi riusciva a fare un film che nei suoi 90/100 minuti aveva almeno 6 o 7 scene di grande importanza nonostante il budget ridotto. Riusciva a far vendere il film a livello internazionale ed era davvero una persona che da sola riusciva a comporre il film facendolo sembrare ricco. Ed è un concetto ancora attuale perché solo chi ha esperienza riesce a fare un film con un qualcosa in più che nessun altro può dare.

Un altro personaggio importante nella tua carriera è stato Bruno Mattei. Come sono state le circostanze del vostro incontro e come avete iniziato a lavorare assieme?

Incontrai Bruno Mattei durante il mio periodo di assistente al montaggio. Un regista non è degno di essere considerato tale se non ha mai avuto esperienza in sede di montaggio. Il montaggio ti da l’idea di come si compone un film, è essenziale. Io alternavo la mia esperienza di sceneggiatore a quella di assistente al montaggio. Io e Bruno trovammo subito un’intesa perché ad entrambi piaceva il cinema di genere. Lui veniva da una scuola di montaggio e aveva parecchia esperienza, io venivo dalle mie esperienze con Margheriti e Bava (col quale ho scritto una sceneggiatura). Abbiano trovato una sintonia tecnica e lui in un certo senso aveva il ruolo del montatore, mentre invece io ero il giovane regista scapestrato che girava scene un po’ estreme, un po’ forti, fuori dai canoni. Questo nostro incontro ha portato una lunga collaborazione che ha fatto nascere una serie di film e che è durata per circa 15 anni. Credo che la nostra esperienza abbia dato i suoi frutti, sia per me che per lui, c’è stato un ottimo interscambio. Io ero più uno specialista della seconda unità, lui invece era più bravo nel montaggio.
Per quello che riguarda la regia vera e propria (conta che poi si trattava sempre di storie mie, di miei soggetti che io cambiavo al volo se si presentavano dei problemi di budget), accadeva che io girassi delle cose in più o delle cose in meno. Era però un rapporto doppio, nel senso che non c’era una distinzione fra il regista, il collaboratore, l’aiuto… Si lavorava insieme, si faceva un po’ tutto assieme anche se in fase di montaggio l’intervento di Bruno era più massiccio. Però per ciò che riguardava la scelta degli attori, dei set o il modo di girare certe sequenze era tutto diviso più o meno alla pari. Bruno aveva più esperienza, io ero molto più giovane e ovviamente i film li firmava lui. A dire il vero io non avevo interesse a firmare questi film perché all’epoca ero un po’ diviso… Da una parte volevo fare cinema un po’ più intellettuale, per me queste erano una specie di “marchette”. Ero un ragazzo di 26 anni e avevo una visione del cinema un po’ autoriale perché io venivo da un cinema militante di sinistra. Avevo fatto “Passaggi” che è stato il mio primo film…

Si, del 1978, mi sembra che addirittura sia stato girato in super 8…

Esatto, in super 8… Era un po’ il periodo dell’autarchico… Uscì con ottime recensioni, ha vinto anche il Premio Rizzoli come migliore opera prima. Poi dopo (1981 ndr) uscì “Difendimi Dalla Notte” (premiato al Festival di Annecy ndr), un altro film estremamente intellettuale. Era un periodo in cui avevo questo tipo di posizione mentale ma poi mi sono reso conto che mi divertivo molto di più a fare il cinema di genere. È stato però un passaggio naturale perché mentre facevo questi film mi sono reso conto che li facevo perché la mia strada era quella e non solo per motivi economici.
Ci volle una forma di maturità probabilmente più necessaria per fare un film di genere di un certo tipo piuttosto che per fare un film cosiddetto “impegnato”. Almeno io la penso così…
Tutte le esperienze che ho avuto nel passato sono state basilari per il presente e lo saranno per il futuro. Mi hanno anche impostato un certo rigore nelle riprese visto che io adesso posso fare certe cose che normalmente altri registi della mia età non sono in grado di fare perché non le hanno mai fatte

In alcune filmografie risulta che il primo film che tu e Mattei avete girato assieme è stato un misconosciuto mondo movie dal titolo “Sesso Perverso, Mondo Violento”…

C’è un gran casino, ecco la verità…
Ci siamo scambiati i ruoli così spesso che a volte non si capiva più nulla, non si sa più quello che appartiene a me e a lui…
Sicuramente questo film l’abbiamo fatto assieme anche se non ricordo granché. E’ praticamente certo che io l’abbia scritto, che lui l’abbia montato e che poi io abbia girato qualche scena da aggiungere anche perché molto probabilmente si tratta di un film che consisteva soprattutto di immagini di repertorio.
E’ una grande lezione, io vorrei che tanti registi potessero impararla… Dal materiale di repertorio dovevo realizzare un film che doveva durare 90 minuti. Può capitare che però io avessi 30 minuti di repertorio e quindi mi sia dovuto arrangiare per riuscire a girare delle scene di integrazione che rendano il film godibile e vendibile. Sicuramente quindi anche in questo caso tutto nacque da un po’ di materiale di repertorio a cui io e Bruno abbiamo aggiunto delle scene girate da noi. Comunque era una vera schifezza, una cosa tremenda, non è certo per caso che io l’abbia più o meno rimosso… (ride)

Lo stesso anno, sempre con Mattei, hai diretto due film girati contemporaneamente: “La Vera Storia Della Monaca Di Monza” e “L’Altro Inferno”… Com’era diviso il lavoro sul set?

Noi eravamo in un convento di monache che, per una strana coincidenza, si trova proprio dietro la mia abitazione attuale. Sotto ci sono delle catacombe importanti, le catacombe di Santa Priscilla, che hanno una grande storia. Al piano di sopra c’è una chiesa con le celle delle monache e tutto il resto. Bruno girava sopra “La Vera Storia Della Monaca Di Monza“che era il film “A”, diciamo, mentre io giravo nei sotterranei quello che era il film “B”, L’Altro Inferno”. Sopra quindi si faceva il film più importante e sotto il film minore… La cosa buffa è che quello che sarebbe dovuto essere il film minore andò molto bene all’estero (era una specie di “Carrie - Lo Sguardo Di Satana” girato in un convento, un film realmente estremo) mentre “La Vera Storia Della Monaca Di Monza” andò meno bene. In effetti c’era un vero e proprio interscambio perché gli attori erano gli stessi e quindi passavano da un set all’altro, salendo e scendendo a seconda del film in cui erano richiesti. Erano due film intrecciati insomma… Pensa che a volte ero costretto a salire ai piani superiori dove si girava il film di Bruno per “rubare la pellicola”! Ne avevo bisogno per poter finire il film e spesso prendevo di nascosto anche dell’altro materiale. A me davano pochissimo, mentre a lui tutto. In ogni caso rimane un’esperienza unica nonché una grande palestra. Auguro a tutti i registi di vivere situazioni del genere perché sono esperienze utilissime, che ti forgiano.

Spieghiamo perché si realizzavano due film contemporaneamente…

Beh, si facevano due film insieme perché avevamo più o meno lo stesso cast, erano film al risparmio, e quindi riuscivamo a portare a termine nelle 5 o 6 settimane delle riprese (perché tanto duravano) non uno ma due film, cosa che per il produttore era una vera manna dal cielo.

Nel cast dei due film ci sono attori come Franca Stoppi e Franco Garofalo, due veri attori di genere che erano perfetti per questi film…

Dici bene: due attori perfetti per quei film, estremi così come erano estremi i film…
“La Vera Storia Della Monaca Di Monza” era estremo dal punto di vista erotico mentre “L’Altro Inferno” era estremo dal punto di vista horror e splatter. Loro riuscivano a dare una giusta identità ai film, erano attori forti, eccessivi. Questo tipo di recitazione adesso in Italia non va più. purtroppo… perché in Italia non si fanno più film del genere, così fuori dai canoni tradizionali. Adesso tutto affoga nella mediocrità della recitazione normale. Ritengo tuttora che Franca e Franco siano due attori straordinari, se fossero nati in America sarebbero diventati degli attori molto importanti, ne sono assolutamente certo.

Nel cast c’è anche un’altra attrice, magari non famosa ma certamente importantissima per te. Parlo di tua figlia Valentina che all’epoca era ancora una neonata…

Mia figlia all’epoca aveva tre mesi di vita, fu lei ad interpretare la figlia del Diavolo indossando autentici abiti battesimali d’inizio secolo che appartenevano alla famiglia di mia moglie. La bambina veniva gettata in un pentolone dalla Madre Superiora e, ovviamente, all’ultimo momento veniva sostituita da una bambola. Giravamo quella scena in una specie di castello e mia moglie era preoccupata per il freddo che c’era in quel posto, temeva che la bambina potesse stare male. Fummo però fortunati perché la sequenza veniva girata nelle cucine che, riscaldate con le luci di scena, hanno reso tutto più semplice. Mia moglie arrivava con Valentina solo al momento dell’azione. La piccola era tranquilla finché restava tra le braccia della madre, ma appena veniva presa in braccio da Franca Stoppi scoppiava a piangere. Dovetti così ripetere la scena più volte finché finalmente non si addormentò e potei girare tranquillamente. Per fortuna avevo già fatto il primo piano dei suoi occhi azzurri, come quelli della protagonista da adulta. Franca ci disse che la bambina avvertiva la sua tensione ed era per questo che piangeva. Infatti, quando Franca si è rasserenata, Valentina ha smesso di piangere.

Il film ha la colonna sonora dei Goblin ma le musiche non sono originali dato che erano già state utilizzate per film come “Buio Omega” e “Patrick”, e in album come “Il Fantastico Viaggio Del Bagarozzo Mark” e “Roller”. Come mai i Goblin non composero una colonna sonora apposta per il film?

Noi li chiamammo perché andavano molto di moda e chiedemmo loro di fare la musica. Ci chiesero però molti soldi e noi trovammo un accordo riuscendo ad ottenere la possibilità di utilizzare musica di repertorio con alcune modifiche realizzate apposta per il film. I Goblin al periodo erano davvero fortissimi ed io ricordo che nel nostro film le musiche erano migliori di quelle che avevano fatto per gli altri! (ride)

Poco dopo arrivò “Virus”… Da chi partì l’idea di fare un film del genere?

“Virus” è un film che ho scritto con Rossella Drudi, anche lei si è formata al montaggio come assistente prima di scrivere le sceneggiature. Ha lavorato per dieci anni con gli americani e solo dopo ha iniziato a scrivere anche per me. Con lei mi sono sempre trovato benissimo, non è un caso se poi ci siamo sposati (ride)
“Virus” nasceva quasi come un film dal sapore epico, una specie di “Apocalypse Now”. Esistevano già diversi film sugli zombi, io volevo fare una cosa diversa, forte, importante. Così scrivemmo questa sceneggiatura e ricordo che quando i produttori la lessero quasi si commossero e mi dissero: “E’ bellissima!”. Nella realtà quando siamo andati a Barcellona per girare il film (che era coprodotto con la Spagna) ci siamo resi conto che non c’erano soldi. Per girare il film ci siamo dovuti arrangiare e abbiamo dovuto improvvisare una rivisitazione di quella sceneggiatura che secondo me rimane bellissima e non è da escludere che possa ritirarla fuori perché è merita davvero di essere realizzata.
I film low budget, però, devono nascere low budget e spesso diventano anche dei grandi film ma se un film è previsto essere ad alto budget e poi non può essere girato così come è stato scritto viene penalizzato terribilmente.

Ma a quanto ammontava il budget di “Virus”?

Il budget corrisponderebbe più o meno a 700000 euro di oggi, quindi un budget assolutamente irrisorio per un film del genere. Tutto il resto è stato realizzato grazie all’esperienza e al mestiere mio e di Bruno. Anche in sede di montaggio abbiamo fatto del nostro meglio per valorizzare al massimo il film…

Quanto durarono le riprese?

Cinque settimane in Spagna e due giorni a Roma per fare alcune integrazioni. Ricordo questo film come una grandissima fatica perché un film che nasce in un certo modo non può essere portato in un’altra direzione.

Nel film ci sono anche scene spiazzanti, così come quella dove si vede un militare che, mentre indossa un tutu, canta “Singing In The Rain”…

(ride) E’ vero, quasi mi dimenticavo di quella scena! (ride ancora più forte)
Questa scena era legata ad una sequenza molto forte che veniva prima, serviva un po’ per stemperare la tensione. Dato che non si poteva fare un film così come era stato concepito io ho insistito a morte perché la scena del tutu rimanesse. A volte capita che dentro uno sceneggiatore si scateni una cosa che dice : “Ok, il film non sarà come era previsto ma la scena del tutu la teniamo perché è troppo divertente”
Così l’abbiamo salvata.

In “Virus” è celebre la scena del bambino che letteralmente divora il padre. Avete avuto qualche problema nel girare una scena così forte e allo stesso così delicata dato che, appunto, coinvolgeva un bambino?

In questi casi la cosa più importante è capire il bambino e non traumatizzarlo, evitare di fare cose sbagliate. La scena era forte, è vero… Il bambino aveva un grande carisma, una grande forza, riusciva a fare lo zombi così bene che quando gli abbiamo messo in bocca le budella del padre (che poi erano salsicce) ci ha letteralmente scioccato. Lavorando spesso con i bambini negli horror, nei film splatter, ci si rende conto che loro sono i primi a divertirsi. Addirittura ricordo che ripetemmo più volte la scena perché lui ci diceva “Voglio rifarla, non mi è venuta bene!”(ride). Si divertiva come un matto, ogni volta che finiva la scena rideva a crepapelle. Io sapevo che più lui si divertiva e più la scena sarebbe diventata forte quindi ho insistito fino a fargliela fare al massimo. Magari da un punto di vista registico puoi considerare tutto questo quasi cinico ma da un punto di vista umano non lo era affatto perché lui si divertiva e noi giravamo una delle scene più belle e riuscite del film. Insomma, eravamo contenti entrambi! (ride)
Fu tutto abbastanza improvvisato perché in origine la scena sarebbe dovuta durare solo qualche attimo ma quando poi ci rendemmo conto del suo potenziale decidemmo di darle maggiore importanza. In sede di montaggio, però, la accorciammo un po’ (perché la scena che girammo era decisamente più lunga) perché era talmente forte che forse avrebbe dato fastidio.

Sembra che tu lo dica con un po’ di rimpianto…

Eh si! Perché adesso, col senno di poi, credo che avremmo dovuto mantenere la scena così com’era… Se l’avessimo tenuta così com’era, nel cinismo più totale, quella scena sarebbe riuscita ancora più forte.

Nel film c’è una scena con un prete, interpretato da Víctor Israel, un volto notissimo nel cinema di genere, specialmente nel western…

Un grandissimo! Tanto per dirne una, ne “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” è l’attore che quando arriva Clint Eastwood butta tutte le patate sul calderone e dice che tutti quelli del reggimento sono morti. Era un attore spagnolo che ha davvero fatto la storia del cinema spagnolo (e non solo). Io l’ho riconosciuto subito e quindi gli ho fatto fare quella scena con grande piacere.
Quella scena, poi, è volutamente forte. Il prete è un missionario della missione dove tutti sono stati trucidati. L’unico sopravvissuto, quindi, è il prete, la persona che in teoria avrebbe dovuto salvare tutti quanti.

Come mai in questo film sono stati utilizzati gli inutili stock shots del documentario sulla Nuova Guinea?

Non me ne parlare… All’epoca c’era una specie di follia da parte dei distributori e dei produttori che chiedevano sempre di riutilizzare scene di repertorio. Davvero, era una specie di mania. Ci venivano fatte proposte assurde, tipo: “Io ho un quarto d’ora di quel film, perché non lo utilizzi?”. Non servivano, sono stati messi perché era inevitabile, era il periodo in cui queste cose andavano di moda… Che poi venivano utilizzate per risparmiare ma non servivano a nulla. Nel nostro film, poi, erano davvero superflue. Se avessi evitato di mostrare tutte quelle scene il film ne avrebbe guadagnato.

Il finale del film nella fabbrica spezza il ritmo del film. E’ stata una scelta voluta in origine o maturata in fase di montaggio?

Un po’ tutte e due le cose. Il film aveva un finale completamente diverso. Si doveva vedere che le popolazioni africane si ribellavano all’idea della morte come risoluzione del problema della fame. Sia io che Rossella avevamo visto al cine-club il film: “Soylent Green” (2022 I Sopravvissuti” di Richard Fleischer, 1973 ndr) (dove il problema della sovrappopolazione si risolveva facendo mangiare i cadaveri ai sopravvissuti). La storia ci colpì molto, infatti nella nostra storia originale, una nube tossica trasformava in zombi tutti gli abitanti del terzo mondo che, mangiandosi tra loro, risolvevano una volta per tutte il problema per i paesi sviluppati. Ovviamente va detto che la fabbrica era degli americani. Il finale del film consisteva nella ribellione del popolo africano contro i paesi cosiddetti sviluppati che avevano proposto questa soluzione.
Tecnicamente però non era possibile realizzarlo e allora abbiamo optato per un finale splatter che però non aveva lo stesso effetto. Io sono abbastanza contrario a quel finale, è stato scritto all’ultimo momento, non avevamo alternative ma secondo me il film doveva finire con la ribellione dei paesi sottosviluppati contro i loro oppressori che andavano a contaminare tutto il resto del mondo se non aiutati.

Hai montato anche questo film?

Assolutamente si. Partecipo sempre al montaggio dei miei film. Nasco come assistente al montaggio e per me è essenziale parteciparci, è inconcepibile per me non partecipare.
Il cinema è composto di tre fasi: la sceneggiatura che è la prima regia, la regia che è la seconda regia e il montaggio che è la terza regia.

Nella versione francese del film tu sei accreditato come regista mentre in Italia risulta essere Bruno Mattei.

Sono misteri dovuti al fatto che abbiamo firmato tante cose, a volte hanno persino firmato altri al posto nostro… C’era una gran confusione per quanto riguardava il diritto d’autore, che peraltro all’epoca era inesistente.
La paternità del film come regista ce l’ha Bruno Mattei e nessuno gliela toglie ma non dimentichiamo che io comunque ho diretto un buon 50% del film e quindi ritengo di essere anch’io autore di quest’operazione, come del resto anche Rossella che non ha firmato la sceneggiatura pur avendoci lavorato.

Quali sono state le locations del film?

“Virus” fu girato a Barcellona e dintorni. La centrale era una centrale termonucleare, una location davvero interessante. Il film è stato girato quasi tutto in Spagna, un paio di scene le abbiamo fatte in Italia e, secondo me, sono le peggiori.

Immagino ti riferisca al finale…

Si, io lo trovo davvero squallido. In Spagna abbiamo cercato di difenderci come potevamo. Era una grande sceneggiatura con un budget miserabile e abbiamo fatto il possibile per uscire con un buon film…

Che ne pensi oggi del film?

Non so… Quando passa tanto tempo la tua paternità si affievolisce… E’ come un figlio avuto in tenera età; a volte è un errore, a volte no… La cosa più straziante è che “Virus” è stato concepito con tanto amore ma alla fine ne è venuto fuori un figlio in provetta, una sorta di aborto… (ride) Non sono soddisfatto del risultato finale…

Nel 1983 hai diretto altri due film con Mattei, ancora una volta simultaneamente. “Blade Violent - Emanuelle Fuga Dall’Inferno” e “Violenza In Un Carcere Femminile”. Com’era l’atmosfera sul di set questi due film?

Su “Emanuelle Fuga Dall’Inferno” non ho fatto praticamente nulla mentre in “Violenza In Un Carcere Femminile” ritengo di aver partecipato all’80-90% del film.
Anche questi erano due film scritti con Rossella Drudi, li considero miei come per la sceneggiatura e “Violenza In Un Carcere Femminile” anche per la regia.

Nel cast c’erano attori come Laura Gemser, Lorraine De Selle, Gabriele Tinti… Che rapporti avevi con loro?

Ottimi rapporti, erano tutti grandissimi professionisti che ho conosciuto molto bene. Laura poi è un’amica, una persona che ho frequentato a lungo, è stata anche la mia costumista dopo che ha fatto l’attrice. E’ stata la moglie di Gabriele Tinti (che purtroppo è scomparso troppo presto) e ha lavorato spesso con il grande Aristide Massaccesi – Joe D’Amato.

Prima o poi il nome di Aristide Massaccesi doveva venire fuori…
Un grande regista, un grande uomo di cinema e, stando ai ricordi delle persone che l’hanno conosciuto, anche una gran bella persona. Tu l’hai conosciuto molto bene, qual è il tuo ricordo?

Aristide era una persona splendida, questo diciamolo prima di tutto.
Era veramente il cinema di serie B nel senso migliore della parola. Calcola che per me, per Rossella e tanti altri come noi, il cinema di serie B di un certo tipo è superiore al cinema cosiddetto di serie A, quindi per me è stato un vero onore poter lavorare con lui. Ritengo Aristide la persona più giusta per produrre film di genere. Era estremamente aperto e compensava la mancanza di budget con un grande amore per il cinema, una grande passione, terribilmente sincera. Era geniale perché riusciva a fare film interessanti con nulla, era un grandissimo direttore della fotografia.
Ho un ricordo bellissimo di Aristide, a me ha prodotto “Troll 2”, “La Casa 5”, io ho scritto per lui “Il Piacere” (1985 ndr), Rossella ha scritto per lui “Eleven Days Eleven Nights” (1986 ndr) e “Eleven Days Eleven Nights 2” (1990 ndr) firmandosi con lo pseudonimo di Sarah Asproon che era anche il nome della protagonista del film. Ci tengo a dirlo perché è stata la prima sceneggiatura dove finalmente anche lei ha smesso di essere un fantasma e che, erroneamente, è stata attribuita a me. Con Aristide abbiamo avuto un bel rapporto di lavoro, io lo chiamavo il Roger Corman italiano. sapeva come utilizzare giovani registi pieni di talento e sapeva come farli rendere al meglio in situazioni di low budget
Ha fatto tante operazioni interessanti. pensa solo a “La Casa 5”, un film che ho realizzato per lui e che all’epoca incassò qualcosa come 1500000000 di lire dell’epoca. Solo una persona geniale poteva fare una cosa del genere. Al di là quello, Aristide con tutto il lavoro che ha fatto è andato fallito. È tornato a fare l’horror perché in realtà quando produceva questi film ci metteva del suo! Per chi non lo conosceva poteva sembrare l’ultimo dei cafoni, mentre invece era una persona di grande cultura cinematografica intesa come mestiere del Cinema. Era una persona che con pochissimo riusciva a dare tantissimo.
Il mio rapporto con lui è stato estremamente positivo, gli devono onore tanti altri registi come Michele Soavi, o altri che hanno lavorato con lui come Gigi Montefiori (noto anche come George Eastman ndr). Aristide aveva una grande forza, sapeva riconoscere quando l’idea c’era ma ti lasciava libero e non faceva come tanti produttori di oggi che si intromettono senza capire nulla. Aristide sapeva davvero quello che faceva.
Come direttore della fotografia e operatore di macchina era assolutamente geniale. E’ sua l’invenzione del mitico carrello “all’Aristide” che consisteva in una sedia a rotelle, con lui sopra e la macchina a mano ben stretta al petto, mentre uno dei macchinisti lo spingeva avanti e indietro alla velocità da lui scelta. Non è un caso se oggi il figlio Daniele è un grande operatore di macchina e anche direttore della fotografia. Daniele lavora sempre con Martin Scorsese ed altri di pari livello.
Ho sofferto tanto per la scomparsa di Aristide, era una bellissima persona oltre ad essere un grande uomo di cinema… Ecco, lui posso anche paragonarlo, in un certo modo, a Margheriti e a Bava perché era uno di quegli artigiani con una forte componente artistica… Gente come Aristide adesso non esiste più.

“Rats Notte Di Terrore” è uno dei film più conosciuti del tuo periodo con Bruno Mattei. Dov’è stato girato?

L’abbiamo fatto quasi tutto alla De Paolis, e poi negli studios dove Leone ha girato “C’era Una Volta in America”. Abbiamo girato lì, a Pietralata, dove c’era la ricostruzione del bar di Noodles. Devo dire che girare nella stessa location del film di Sergio Leone mi ha fatto enormemente piacere.

Come siete riusciti a gestire tutti quei topi?

Secondo me buona parte di quei topi girano ancora per gli studios della De Paolis! (ride)
Quei topi in realtà non erano topi di fogna… Erano dei topolini bianchi, delle cavie che comunque erano destinate a morte sicura. Le mettevamo in un grande bidone dove c’era una sostanza colorante e quando li tiravamo fuori erano dei topi grigi che sembravano molto più cattivi di quello che erano in realtà! Erano dei topini assolutamente inoffensivi, non avremmo mai potuto girare con veri topi di fogna!

Il film ha un finale davvero sorprendente, di chi fu l’idea?

Ah si? E come finiva? Sai che non me lo ricordo più? (scoppia a ridere ma un po’ imbarazzato… ndr)

Ma dai!!! E’ un finalone! Con i soccorritori che alla fine si tolgono le maschere antigas e si scopre che sono dei toponi giganti!

Ah si!!! E’ vero!!! Come ho fatto a dimenticarmene! (ride ndr)
L’idea è di Rossella, che scrisse i dialoghi e partecipò alla sceneggiatura senza firmarsi. Immaginò un mondo dominato dai topi, un finale davvero apocalittico…
(rivolto alla moglie ndr) Ammazza che finale, Rosse’! Troppo forte! (ride)

E’ vero che il film sarebbe dovuto essere più splatter?

Tutti i film di quel periodo dovevano essere più splatter. Ci fu una specie di censura sordida e stupida che ci imponeva delle limitazioni. Ma tutto questo è assurdo! Voglio dire, se un film si chiama “Rats Notte Di Terrore” è normale che ci sia dello splatter in grandi quantità! Parliamoci chiaro… Sono dei film di puro divertimento in cui uno deve eccedere. Nel momento in cui uno si autocensura è il momento in cui il film prende una brutta piega. A dire il vero io me ne sono sempre fregato, ho sempre fatto quello che volevo, anzi, a volte quando il produttore mi chiedeva di limitare le scene di sangue io invece cercavo di farle ancora più estreme… E’ la mia anima ribelle, insomma…

Com’era diviso il lavoro con Mattei?

Beh, “Rats” l’ho girato quasi tutto io, Bruno in quel periodo si era un po’ fermato come regista, io invece in questo film ci ho messo una grande carica. Non ero un collaboratore, ero proprio un regista e credo di non sbagliarmi se dico che gran parte di “Rats” è stata realizzata da me.

Hai più avuto modo di rivedere il film?

Non rivedo mai i miei film, sono sempre alla ricerca di qualcosa di diverso. L’idea di fermarmi a riguardare il passato non mi appartiene. Di “Rats” ricordo comunque una grande fatica. Finire un film come “Rats” è stata davvero un’impresa.

Chi ebbe l’idea di “Monster Dog”?

Tutto nacque da un produttore chiamato Eduard Sarlui che mi contattò dopo aver visto Rats. Mi disse che voleva che facessi un altro film con animali… dopo “Rats” era arrivato il momento di “Dog”, “Monster Dog”!(ride)
Questi erano film che nascevano un po’ così, erano film che venivano venduti nel mercato estero, ma per estero intendo l’American Film Market e cose del genere, e venivano proposti come prodotti americani di serie b. Adesso però non si possono più fare anche perché il mercato americano si è molto sviluppato anche nei B-movies e ovviamente è diventato estremamente superiore.

Il film sembra girato in America del Sud ma in realtà è girato in Spagna…

Infatti, “Monster Dog” è stato girato in Spagna, nei dintorni di Madrid, in una casa dove girò un film anche Carlos Saura.
Fu girato lì perché la società cinematografica doveva investire in Spagna e quindi spacciammo la Spagna per l’America del Sud.

La presenza di Alice Cooper nel cast è dovuta al fatto che lui voleva darsi al cinema oppure era dettata da qualche logica commerciale?

Mah, un po’ tutte e due le cose… Nel cinema accadono spesso cose del genere, spesso è tutto casuale. Alice era (ed è) un cantante un po’ dark e interpretare una specie di lupo mannaro in un film come il mio poteva essere una bella occasione per lui.
Io ero contentissimo di averlo nel mio film!

Com’è il tuo ricordo di Alice Cooper?

Con Alice siamo diventati molto amici. Quello che posso dirti è che lui è l’esatto opposto di ciò che appare o che si vede durante i suoi concerti. Quello che la gente fruisce, il suo aspetto esteriore, quello che viene mostrato al pubblico, è esattamente l’opposto di quello che lui è realmente. E questo accade con tantissimi altri artisti. Nessuno è in realtà il messaggio mediatico che trasmette al pubblico.
Alice ha creato il suo successo su una figura che non lo rappresenta davvero…
Nel momento in cui ho conosciuto veramente Alice ho conosciuto una persona tranquillissima, adorabile, di rara gentilezza e delicatezza. E’ una persona estremamente squisita, dolce, molto fragile, grande professionista, una persona fuori da ogni logica della star maledetta o del cantante metal. Con Alice è stato davvero un rapporto molto bello.

E’ vero che lui è un grande fan del cinema horror?

Ah si, assolutamente! Pensa che lui venne in Spagna con una collezione pazzesca di videocassette horror, ne portò almeno un migliaio e tutte le notti ne guardavamo qualcuno assieme nella sua camera. E’ un vero horror fan, di quelli duri e puri. Ci siamo divertiti come matti a passare notti insonni guardando vecchi horror. E poi giocavamo spesso a golf assieme…

…nelle giornate libere?

No, no! Giocavamo a golf durante le pause, nel suo appartamento! (ride) Pensa che si era fatto costruire un campo da minigolf nel suo alloggio!!! Divertentissimo…

Tornando al film, so che “Monster Dog” è stato massacrato durante il montaggio…

E’ tutto vero, il film mi fu letteralmente strappato dalle mani e rovinato in montaggio. Questo perché in un contratto di tipo americano il final cut spetta al produttore e non al regista. Mi fu fatto un grosso torto perché furono tagliati circa 20 minuti di film. Quello che adesso circola in vhs e dvd non è il film che ho girato io…
E’ un film che non rinnego, non è venuto come volevo io ma la colpa è innanzitutto del montaggio. Quando un regista firma un contratto con gli americani non si ha mai il final cut quindi il tuo criterio di montaggio non deve essere necessariamente considerato. In questo caso, infatti, il montaggio finale l’ha fatto il produttore. Le scene eliminate sono le migliori, tutte quelle della trasformazione, tutte quelle più splatter… E’ un peccato ma è anche vero che nel 1984/85 lo splatter troppo estremo iniziava a scomparire.
Però, insomma, è stata una bella esperienza, mi sono divertito e ho avuto modo di conoscere una persona meravigliosa come Alice Cooper. Anche questo film mi è servito come palestra, per forgiarmi insomma…

Un motivo che può concorrere alla non piena riuscita del film è dato senz’altro dal fatto che il pupazzo meccanico del cane si ruppe subito…

Sì, sì… È vero… (ride) Il pupazzo fu un brevetto di un artigiano italiano che viveva in Spagna, un certo Carlo De Marchis. Il problema era che questo maledetto mostro non era mai pronto! Il disegno me lo fece un architetto romano e, una volta portato in Spagna, De Marchis realizzò un pupazzo complicatissimo che si muoveva con dei fili ed un carrello e fu pronto solo l’ultima settimana delle riprese. In una scena (che poi fu tagliata) il mostro sfonda una porta e fra le fauci tiene la testa di uno degli attori che è morto di sotto. Questa fu la prima volta che si usava il pupazzo che, sfortunatamente, si ruppe subito e ci costrinse ad usarlo manualmente nelle scene seguenti. Sono cose che possono capitare, in fondo… (ride)

La rottura del pupazzo vi ha in qualche modo costretti a modificare la sceneggiautra al volo?

Beh, bisogna dire che in un film low budget le sceneggiature non vengono mai rispettate fino in fondo. Accade sempre qualcosa che comporta qualche variazione allo script originale, se fossero rispettate sarebbero dei low budget atipici! Quando tu ti muovi in una dimensione di low budget inevitabilmente devi fare dei cambiamenti perché tutto dipende da quello che hai o non hai a disposizione. Le sceneggiature venivano quindi costantemente risistemate in base alle possibilità che si avevano. In quei casi bisogna fare di necessità virtù. Bisogna sempre trovare le strade migliori per concludere il film anche se questo alla fine sarà differente da com’era stato previsto. È una logica quasi inevitabile, non puoi fare lo storyboard all’americana e poi mantenerlo perché ti ci vorrebbero i fondi giusti per fare esattamente come l’hai pensato. In “Monster Dog”, in ogni caso, credo di aver trovato alcune soluzioni decisamente interessanti.

Dalla Spagna alle Filippine… “After Death” è uno zombi-movie che hai girato nelle giungle asiatiche mentre Mattei girava “Strike Commando 2”. Come siete riusciti a far convivere i due film?

Non era semplice… Io la mattina collaboravo alla regia di “Strike Commando 2” con Mattei e la notte giravo il mio “Ater Death”. Praticamente non dormivo mai! (ride)

Ma usavate le stesse macchine da presa oppure ogni film aveva il suo materiale?

Figurati! (ride) Le macchine da presa erano 2 ed io le usavo quando non le usava Bruno. La notte era il solo momento in cui erano libere! Bisognava ottimizzare i tempi e si risparmiava su tutto. Il mercato chiedeva un horror e un film di guerra e noi li realizzavamo simultaneamente.

Hai detto che non dormivi mai in quel periodo… Ma com’erano i tuoi orari di lavoro per “After Death”?

Iniziavo le riprese intorno alle 21 e finivo alle 5 di mattina. Il tempo di fare colazione e poi alle 7 ero di nuovo sul set con Bruno per girare la seconda unità di “Strike Commando 2”. Ho retto questi ritmi assurdi finché ho potuto… Poi ad un certo punto non ce l’ho fatta più… (ride)
Che poi non bisogna dimenticare che girare nelle Filippine è sempre un’impresa, c’è un clima tremendo e le notti sono caldissime… Un inferno insomma!

Il protagonista del film è Jeff Stryker, star del porno uranista…

(ride) Mah, arrivò questa specie di Big Jim, un attore belloccio, palestratissimo, dall’aria un po’ imbecille. Ci fu consigliato da un nostro consulente nelle Filippine. Solo col tempo ho scoperto che era un pornodivo e non nascondo che la cosa mi divertì parecchio. All’epoca io non lo sapevo, sapevo solo che non era certo un grande attore o un grande talento… Certo, per carità, era diligente, seguiva i miei consigli e faceva quello che gli dicevo, quindi da questo punto di vista mi andava più che bene. Era una specie di Schwarzenegger dei poveri, insomma… (ride)

Nel cast c’è un attore che ha spesso lavorato con te: Massimo Vanni

Sì, lui nasce come stuntman, ha lavorato spesso nei film di Tomas Milian nel ruolo di Gargiulo. Beh, è un amico, un ragazzo piacevole, simpatico, un attore sufficientemente bravo, un buono stuntman. Per me era sempre un piacere lavorare con lui.

Il film fu massacrato in fase di montaggio. Specie nella versione italiana…

Si, fu tremendo. In quel periodo il cinema gore e splatter era in declino (almeno nelle menti dei produttori). Il risultato finale di After Death è decisamente ibrido, ha un taglio irregolare, perché il film era studiato per essere un film estremo, truculento e invece è stato privato di tutte le scene forti (che erano tante). Quando un film è povero l’unica cosa che puoi dargli per renderlo un po’ più funny, più appetibile è proprio lo splatter! E più esageri con lo splatter più lo rendi divertente per il tipo di pubblico che ama questo cinema. Più lo fai serioso e senza effetti, invece, meno ha senso, tanto vale fare una commedia…
Mi arrabbiai tantissimo per questa cosa, non è un caso che questo fu il mio ultimo horror.

Zombi 3 è un film su cui sono state dette tante cose, molte delle quali false. Qual è la vera storia del film?

Ho sempre avuto un grande rispetto per Fulci, l’ho sempre considerato alla stregua dei vari Margheriti, Bava, Massaccesi… Un artigiano artista, un regista completo, un grande tecnico. Questo va detto prima di tutto.
Io e Rossella abbiamo scritto “Zombi 3” senza sapere che sarebbe stato un film di Fulci… Questa sceneggiatura era una specie di vendetta di “Virus”. Siccome “Virus” non era poi diventato il film che volevamo, “Zombi 3” doveva essere quello che “Virus” non era stato. Scrivemmo una sceneggiatura che secondo me era bellissima, la portammo ai produttori della Variety che la trovarono stupenda. Chiesero di fare il film a me e a Mattei ma sia io che lui avevamo altri impegni e al momento non eravamo disponibili. I produttori allora dissero che sarebbe stato un peccato non sfruttare una sceneggiatura così bella e pensarono di affidarla a qualcuno che aveva già fatto dei lavori del genere. Dato che aveva diretto “Zombi 2” il più accreditato era ovviamente Lucio Fulci.

Quindi fu allora che lo incontraste…

Sì, e dopo aver letto la sceneggiatura, Lucio ci disse che la trovava geniale e si innamorò del progetto. Da lì è nato il nostro rapporto con Fulci. Io e Rossella l’abbiamo frequentato a lungo, cercavamo di capire se la sceneggiatura era davvero nelle sue corde e a un certo punto lui iniziò il lavoro di regista su questo film e partì per le Filippine.

Qualcuno dice che Fulci abbandonò il set…

Lo so, ma è una grande falsità. Lucio Fulci non ha mai abbandonato il set, ha girato le 5 settimane stabilite dal piano di lavorazione del film e l’ha portato a termine.
Come lui abbia portato a termine le riprese non sta a me dirlo nel senso che io e Rossella abbiamo scritto la sceneggiatura e nel momento in cui gliel’abbiamo consegnata il film era da considerarsi suo, il padrone del film è lui. Lucio ha finito il film e l’ha consegnato al produttore che poi ha visto il film e da lì nacque il problema. Nessuno quindi ha mai abbandonato niente, nel senso che Lucio è stato lì, ha fatto quello che doveva fare, il film è stato montato e solo dopo fu deciso di fare un certo lavoro di completamento aggiungendo alcune scene.

Mi stai dicendo che quindi il film è assolutamente di Lucio Fulci…

Nella maniera più assoluta! Il film è stato finito, non c’è nulla da dire.
Il film è di Lucio Fulci che l’ha finito secondo la sua visione di regista.
La proprietà del film finché i diritti della sceneggiatura non sono stati ceduti al produttore è dello sceneggiatore. Poi una volta che la sceneggiatura viene affidata al un regista i diritti sono suoi e dopo ritornano al produttore. Ecco l’iter, che poi è la legge del diritto d’autore.
Lucio ha avuto la sceneggiatura da me e da Rossella, è andato nelle Filippine e ha girato il film, poi un montatore ha montato il tutto e il produttore l’ha visto.

Cos’ha detto il produttore dopo aver visto il montato?

Il produttore ha visto il film montato e ha deciso che non era sufficiente, era mancante di qualcosa. A quel punto il produttore ha disconosciuto la paternità del film.
Allora io, Rossella e il montatore abbiamo incontrato Lucio raccontandogli cos’era successo, dicendogli che per il produttore il film era incompleto. Parlando con lui abbiamo deciso di integrare un’altra mezz’ora di film e per questo gli ho chiesto il permesso dicendogli che l’avrei fatto io. Gli ho fatto avere la sceneggiatura di questa mezz’ora in più e ho avuto ufficialmente la sua approvazione. Lucio ha riconosciuto che questa mezz’ora non danneggiava l’ora che lui aveva fatto.
Quindi io presi la sceneggiatura di queste scene aggiuntive e partii per le Filippine dove raggiunsi Mattei che girava Robowar (scritto da Rossella). Io e Bruno non eravamo più in ottimi rapporti e allora ci dividemmo le scene e le girammo separatamente.
Ecco come sono andate le cose
E’ un film di Lucio Fulci a tutto tondo.
E’ come se lui non avesse potuto finire il film per un qualsiasi problema, ecco la verità.
Ma il film è suo, assolutamente.

Quindi il lavoro che avete fatto tu e Mattei è stato soltanto un lavoro su commissione…

Si, né più né meno. Quello che noi abbiamo fatto è stato un lavoro su commissione voluto dal produttore, io non mi sono mai sognato di contestare il film a Lucio, nel senso che non era una mia visione. Autorialmente per me restava il fatto che il regista era Lucio, il produttore aveva voluto così e basta, il film è di Fulci. Lui poi poteva benissimo dire “No, io non lo riconosco” e infatti in qualche intervista ha disconosciuto il film ma alla fine è stato un film che ha fatto per i soldi, lo capisco… Poi in quel periodo stava davvero male, era nella fase peggiore della sua malattia al fegato. Sai, poi quando fai un film di questo tipo devi anche essere in buone condizioni fisiche perché altrimenti non resisti in mezzo alla giungla a 40 gradi… Se uno non ha il fisico non ce la fa…

Nel film c’è un cammeo tuo e di Mattei che ha fatto un po’ discutere… Siete vestiti da soldati e gettate in un forno un cadavere che molti hanno trovato somigliante a Lucio Fulci. Cosa puoi dire a proposito?

Che sono tutte stronzate. Era soltanto un gioco, non c’è nessuna interpretazione di questo tipo . Ho sentito anch’io che qualche imbecille ha detto che il cadavere che bruciavamo nel forno stava a simboleggiare Lucio… Il fatto era che avevamo utilizzato tutti gli attori che impersonavano i militari e gli unici due che non erano stati visti eravamo io e Bruno. Era il solito problema del dover risparmiare e quindi ci siamo offerti noi come comparse, tutto qua.

In origine “Zombi 3” era stato pensato (o almeno annunciato) come un film in 3D. Sono mai state girate scene in 3D?

E’ tutta una favola… Una di quelle invenzioni che si fanno per pubblicizzare il film… (ride) In 3D… Sono tutte sciocchezze, figuriamoci…

Nel cast c’è una tua vecchia conoscenza, Deran Sarafian. Un regista che diventò attore per caso…

Ho conosciuto Deran nel 1984, prima di “Zombi 3”, mentre lui girava “The Falling” io giravo “Monster Dog”. I film erano entrambi prodotti da Sarlui. Diventammo molto amici, poi lui venne in Italia perché aveva una fidanzata italiana. Mi chiese la cortesia di farlo lavorare ed io lo presentai a Fulci. Lui fece un ottimo provino e Lucio ne fu colpito. E’ così che nacque la sua carriera d’attore. Poi Rossella scrisse un film per lui come regista: “Interzone”, prodotto da Aristide, che fu un mezzo disastro per il solito problema della sceneggiatura ottima e del film pessimo, per colpa dei problemi di cui abbiamo parlato prima… Una storia che si ripete sempre, insomma! (ride)

Una caratteristica di “Zombi 3” è che ha un ritmo forsennato…

E’ vero, era previsto nella sceneggiatura. Volevamo portare sullo schermo degli zombi che non si fermavano mai, che attaccavano per tutto il tempo, un po’ come in “After Death”. La sceneggiatura aveva un ritmo elevatissimo e forse questo era un problema. Per ottenere questo effetto ci voleva una regia molto serrata e devo dire che Lucio questo l’ha fatto anche se non è riuscito a mantenere la tensione alta per tutti i 90 minuti del film.

Gli zombi di “Zombi 3” (così come quelli di “After Death”) sono assolutamente ipercinetici. Come mai quest’idea degli zombi così dinamici?

In realtà non è poi male… Io adoro gli zombi, per me vedere un morto che uccide un vivo è uno spasso. Parlai con Lucio dell’idea di fare gli zombi così aggressivi e a lui piacque molto. È stata una scelta data dal fatto che non se ne poteva più di questi zombi barcollanti che si muovevano lentamente, così abbiamo messo questi zombi che correvano, parlavano, sparavano, saltavano…
In fondo sulla tematica degli zombi uno può fare quello che gli pare dopo che ci sono state centinaia di zombie movies. Io ho ritenuto che questa soluzione potesse essere più originale.

Adesso però c’è gente che applaude le presunte innovazioni di film come “28 Giorni Dopo” di Danny Boyle o “L’Alba Dei Morti Viventi”, il remake di “Zombi” ad opera di Zack Snyder, dove si vedono zombi cattivissimi che corrono esattamente come gli zombi dei tuoi film di vent’anni prima. Come ci rimani quando senti la gente che grida al miracolo quando vede queste cose che erano già state portate sullo schermo da te?

L’hai detto tu, si tratta di cose di vent’anni fa… Se oggi tutti gridano al miracolo quando vedono questi film che hai citato io non ci faccio caso. D’altronde dovrebbero essere i cosiddetti ”esperti di cinema” a sapere che gli zombi parlanti che corrono e sparano velocissimi, sono stati realizzati per la prima volta da me. Le nuove generazioni non possono saperlo. Però continuo ad andare avanti, forse un giorno farò ancora un film sugli zombi, magari mi inventerò ancora qualcosa di nuovo… Chissà, forse questa stavolta voleranno! (ride)
Per me “Zombi 3” è riuscito, è un buon zombi movie, non sfigura accanto ad altri film simili.

Come andò il film alla sua uscita nelle sale?

Era un momento in cui l’horror e lo splatter non andavano più come un tempo e in effetti il film non andò benissimo a livello di incassi. Niente a che vedere con “Zombi 2”, quindi, che comunque uscì in un periodo molto più favorevole.
In ogni caso io non ritengo “Zombi 2” molto superiore a “Zombi 3”. Tecnicamente secondo me, è meglio “Zombi 3”. Ha avuto la sfortuna di essere arrivato troppi anni dopo, in ogni caso rimane un buon film che ha almeno una mezz’ora di cose molto belle.

Eravamo nel 1988, il potenziale commerciale per l’horror era ancora elevato oppure era già iniziato il declino?

Era già iniziato, purtroppo…
Il calo iniziò per un motivo semplicissimo: la cinematografia americana fino a metà degli anni ‘80 era in un certo senso carente rispetto a noi perché noi facevamo dei film a budget talmente limitato rispetto a loro che in qualche modo riuscivamo a fregarli. Loro spendevano sempre molto più di noi. Quando poi hanno capito l’antifona hanno iniziato ad abbassare i loro budget e si è venuta a creare una situazione in cui un loro budget medio basso era il doppio del nostro e i film erano superiori. Quando un loro low budget diventava in qualche modo simile al nostro per noi non c’era più storia… Avevano attori e strutture che in Italia non ci potevamo permettere. Ecco la verità nuda e cruda della fine del mercato. I loro low budget hanno ucciso i nostri.

In America però ci sei andato per girare Troll 2. Com’è nato?

E’ nato dalla crisi degli horror che non potevano più essere splatter. Mi ricordo ancora un produttore che mi disse: “Il rosso del sangue non bisogna più farlo vedere”. Con Rossella allora pensammo di far vedere il verde, infatti in quel film c’è proprio un delirio di verde! (ride)
Rossella aprofittò del fanatismo dei vegetariani dell’epoca, per inventare una favola horror, davvero demenziale e divertente. La sua idea era quella di usare la carne come il crocefisso contro i vampiri. Infatti il bambino della storia si salva dai mostri brandendo un hamburger. Nel nostro film i troll (che sono degli abitanti dei boschi, un po’ come gli gnomi) mangiano gli umani ma dato che però loro sono vegetariani prima di mangiarli devono trasformarli in piante. L’idea è questa, cercare di essere splatter senza esserlo realmente, con i troll che mangiano gli uomini dopo averli trasformati in piante, in un delirio di verde. Era buffo cercare di trovare lo splatter in questo contesto. Era un film strano, divertentissimo da realizzare. E’ stata la mia prima esperienza in America, nello Utah, lo è stata anche per Aristide (che produceva il film). Abbiamo avuto coraggio e ci siamo divertiti.
“Troll 2” è da rivalutare perché è veramente il mio film più funny, il più divertente di tutti, quello fatto in assoluta libertà. E’ incredibile come ancora oggi, nel 2005, su tanti siti web, si possano trovare discussioni sul film e sulla sua storia animate da ragazzi di tutto il mondo in forum frequentatissimi dedicati al film.

Quali sono le differenze nell’ambientare un film di genere negli Stati Uniti piuttosto che in Italia?

In Italia devi un po’ elaborare tutto, se ambienti un film a Roma con un serial killer sembra che non sia credibile, se lo ambienti a Los Angeles invece funziona. Sono tutte cazzate, è solo una questione di testa. Il nostro provincialismo ci porta a credere che quello che succede in America è più veritiero di quello che succede in Italia. Se riuscissimo a superare questo pregiudizio tutto potrebbe cambiare. Ma il provincialismo più grande sta proprio a monte, i nostri critici della carta stampata sono i campioni del provincialismo. Basta vedere come si sono comportati al recente festival di Busto Arsizio, dove hanno riportato solo il fatto che Coppola era intervenuto, senza menzionare nulla del festival stesso.

Che rapporto ha il tuo film con il primo “Troll” di Buechler? Doveva essere un vero sequel oppure si trattava di un secondo capitolo apocrifo?

In realtà esistevano delle maschere del primo “Troll” che sarebbero dovute essere utilizzate a discrezione del regista. Il produttore del film era Aristide ma era coinvolto anche Sarlui, quello con cui feci “Monster Dog”, che non doveva sapere che il film lo dirigevo io, Clyde Anderson, dato che in passato avevamo avuto i nostri contrasti.

Allora è per questo che in questo film ti firmi Drako Floyd!

Esattamente! (ride) In realtà quindi il film nasce dalle maschere del primo “Troll” che erano rimaste e che sarebbero dovute essere utilizzate. Io invece feci come ho sempre fatto in tutta la mia carriera: feci di testa mia!

Un altro film che hai girato in America è “La Casa 5”, uno dei tuoi più grandi successi.
E’ un film che tu ami molto, vero?

Si, lo amo e lo rispetto molto. Alla base del film c’è una sceneggiatura molto ricercata, è un film complesso. Era un film che metteva addosso molta paura perché era basato su alcuni elementi reali che è impossibile non trovare inquietanti. Furono fatte parecchie ricerche sulla possessione demoniaca, su alcuni testi davvero spaventosi.
Rossella lesse un libro intitolato ”I cento casi di possessione demoniaca riconosciuti dalla chiesa cattolica” di Padre Malachia. E già durante la lettura iniziarono strani fenomeni che si accentuarono in fase di scrittura. Eravamo entrambi terrorizzati. Dalle luci che si accendevano e spegnevano da sole in casa, alle lampadine che esplodevano senza motivo. Una volta è scoppiato anche un bicchiere. Ma la cosa più terrificante è stata quando lo sportello della macchina di un nostro amico, con noi dentro, si spalancò da solo in velocità. Il copione ultimato era in macchina e il nostro amico ci chiese di buttarlo via spaventatissimo. Ovviamente sia io che Rossella ci guardammo bene dal gettarlo via dopo tanto lavoro.

Ne parli quasi come se tutto questo ti spaventasse ancora…

C’è da dire che è un film che ancora adesso mi mette molta tensione addosso.
Poi come protagonisti c’erano due bambini, insomma era un film davvero inquietante. Lo girammo a New Orleans, una città molto strana… Poi noi ci capitammo proprio durante il mardi gras, quando nella città si respira un’atmosfera ancora più particolare.
Mi ricordo di tante cose strane che sono successe durante la realizzazione.
La gente pensa che quando un regista realizza un film dell’orrore lo fa solo per spaventare il pubblico mentre lui invece è immune alle tematiche affrontate. Non è vero, niente di più falso! Noi ne abbiamo paura come la gente che va a vedere il film. Per fare un film del genere bisognava in qualche modo avvicinarsi al mondo dell’occulto, documentarsi. E’ un film che mi dava una certa sensazione mentre lo giravo. Forse nel film si sente che anch’io avevo paura.

Avete girato alcune scene dentro un vero carcere…

Oh si, fu un’esperienza davvero particolare. Eravamo dentro un vero braccio della morte in un carcere della Lousiana. Girammo proprio nella stanza della sedia elettrica. Un’attrice era una sensitiva e quando entrò là dentro iniziò a piangere disperata perché sentiva un’enorme energia negativa e non voleva più girare…

Non fu il solo fatto strano che accadde là dentro…

Sì, ne ricordo uno che riguarda David Brandon. Lui interpretava un prete e quando eravamo nel braccio della morte ci fu un detenuto che sarebbe stato ucciso sulla sedia elettrica di lì a poco che vide il suo abito talare e gli chiese di confessarlo. David cercò di spiegargli che non era un vero prete, che era solo un attore, ma il povero condannato disse che per lui era lo stesso e volle confessarsi ugualmente. Da quel momento David acquistò una nuova sensibilità che lo portò ad essere molto vicino al problema della pena di morte e del carcere.
Noi gente di cinema in un certo senso siamo cinici di fronte a tanti problemi, per noi spesso conta solo girare e finire il film ma nel caso de “La Casa 5” fu tutto diverso.
“La Casa 5” è un film che va guardato con rispetto, assolutamente.

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Un altro film girato negli States è “Night Killer”, distribuito in Italia con il tremendo titolo “Non Aprite Quella Porta 3” quasi fosse un capitolo abusivo della saga di Tobe Hooper…
Dimmi la verità, sei tu l’artefice di questo titolo squallido?

(ride) No, no, no! Te l’assicuro! Il titolo non è opera mia, nasce dai produttori, per la distribuzione italiana. Io non mi sarei mai permesso anche perché la storia non aveva nulla a che fare con la famosa saga. Girammo il film a Norfolk in Virginia, con un freddo incredibile. Night Killer non era un horror, era la storia di un serial killer che uccideva delle donne con problemi particolari. Lo volevo fare all’americana con atmosfere europee Non so come sia venuto, credo che avesse almeno un paio di sequenze di grande spessore. Non so se poi alla fine posso considerarlo un film riuscito ma, come tutti i miei film, è stato un esperimento. Va però detto che il produttore, non contento perché il film era era troppo giallo e poco horror, fece girare a mia insaputa delle scene in più che non mi appartengono, come il mascherone con la mano guantata che si vede all’inizio. Il mio film inizia dalla bambina che viene spazzolata dalla madre in Virginia.

Come hai vissuto il declino del cinema di genere in Italia?

Tra gli anni ‘70 e ‘80 producevamo tra i 400 e i 450 film l’anno.
C’era un’industria attivissima e allora la domanda sorge spontanea: ma che fine hanno fatto questi registi? Sono spariti, fuggiti, morti? No, è successo un fenomeno molto preciso: i produttori italiani, che erano in qualche modo i padroni del cinema italiano perché lo producevano, hanno deciso di svendere quasi tutta la quantità delle loro library, dei loro film, alle televisioni. Emergeva la televisione, era il gran momento.
Per un lungo periodo, fino alla fine degli anni ’80, la tv non aveva praticamente importanza per il nostro cinema. I film erano per il cinema, la tv contava poco o nulla.
Poi però arrivò un tipo di Milano… Ricordo ancora cosa dicevano i produttori: “C’è un matto di Milano che compra tutti i film…”. I produttori in crisi (che poi erano la quasi totalità) correvano allora a vendere i propri film per quattro lire, si vendevano a pacchetti, c’erano produttori che avevano la proprietà di 20, 30 film e li vendevano per una miseria. Erano convinti che il ”matto”con le sue televisioni non sarebbe durato più di tanto…

Diciamolo, quel famoso “matto di Milano” era Silvio Berlusconi…

In persona… Berlusconi ha creato una library talmente importante che quando ci fu una crisi molto forte, tra metà degli anni ‘80 e gli anni ‘90, nessuno ha potuto più fare un film se non con l’aiuto di chi aveva il denaro, e chi aveva il denaro lo aveva grazie alle televisioni. A quel punto c’era Berlusconi da una parte e la Rai dall’altra. Quando non si aveva più la forza economica per produrre un film bisognava chiedere alla tv. La tv, però, odiava il genere perché non poteva andare in prima serata con le scene forti e crude che lo caratterizzano. In questo modo sono stati “creati” film cinema che in realtà erano per la televisione. La censura televisiva era ed è fortissima ed ha contribuito all’appiattimento generale del nostro cinema, perché nessuno si è imposto per cambiare le regole. La colpa è anche dei produttori, è troppo comodo fare film con i soldi della tv senza rischiare nulla.
Adesso siamo nel totale dominio della tv che sostituisce il cinema di genere con le schifezze come i reality show, i quiz, lo squallore della tv che in qualche maniera sostituisce “Cannibal Holocaust” o “Zombi” con il Grande Fratello o L’Isola Dei Famosi.
Questa pazzia dei produttori è stata la causa principale del decadimento del cinema di genere, di tutto il cinema, in un certo senso, ma del cinema di genere in particolare perché interessa meno alle tv visto che non può essere trasmesso in prima serata dato che il prime time è dedicato esclusivamente ad un altro tipo di horror: quello dei reality show. Oppure quello dei programmi di gossip che ruotano attorno ai reality con gli ospiti dei vecchi reality che fanno gli opinionisti su non si sa cosa…. E’ finita?… Chissà, Magari nasceranno reality show con i concorrenti che si uccidono tra loro, mangiando i cadaveri dei perdenti per poi trasformarsi in zombi a loro volta…. A parte gli scherzi, non so cosa accadrà domani, ma sono certo che le tv non hanno più nessun interesse che il genere venga fatto al cinema per il cinema. Anzi credo che le tv non abbiamo nessuna convenienza che rinasca il cinema in generale, perché altrimenti cosa mandano in onda?.
Ho esagerato? Non lo so… So solo che quello che vedo in tv è molto più forte di tutto lo splatter che ho fatto finora. Quando si vedono i sentimenti delle persone messi in gioco si è davvero superato il punto di non ritorno. Fellini una volta, parlando della televisone disse che l’occhio del pubblico era scoppiato. Io dico che ormai è scoppiato anche l’udito con il conseguente mutismo della parola e la perdita completa del cervello.

Grazie
ora la leggo.