ROMA — Occultata per oltre mezzo secolo dall’imperante storiografia marxista, finalmente oggi viene alla luce quella che fu la vera Grande Opera dell’era mussoliniana: la conquista di Marte. di Giuseppeina Manin
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Trent’anni prima dello sbarco demoplutocratico sulla Luna, un manipolo di indomiti camerati guidati dal gerarca Barbagli, armati solo di moschetto e menefrego dentro il cuor, sbarcarono il 10 maggio del ‘39 sul pianeta rosso, bolscevico e traditor. Vi ricorda qualcosa?
Ma sì, sono loro, i Fascisti su Marte, le cui avventure fantapolitiche erano diventate l’appuntamento cult della notte di Raitre ai tempi de Il caso Scafroglia. Li avevamo lasciati lassù quattro anni fa e ora sono tornati, trasformati in film. Oltre tre anni ci hanno messo Corrado Guzzanti (anche regista con Igor Skofic) e la sua banda di dissacratori per portare a termine l’impresa. Spiritosa e goliardica, un po’ come la pasticciata organizzazione di questa Festa. Le cui vistose disfunzioni sono oggetto di insistenti brontolii di molti addetti ai lavori, ormai costretti a navigare a vista. «In effetti anche non si sapeva bene dove andare — confessa Guzzanti — All’ inizio si pensava a un dvd da vederci tra amici per ridere un po’. Poi è arrivato il produttore Procacci che, al grido di “o Marte o morte”, ci ha spediti nel baratro di un film». Lanciati nello spazio dentro un razzo che ricorda quello conficcato da Meliès nell’occhio della luna, attori e veri e improvvisati: Marco Mazzocca, Lillo Petrolo, Andrea Blarzino, Andrea Purgatori, Andrea Salerno.
Tutti decisi a conquistare per la patria e per il duce il pianeta «di sinistra» abitato dai Mimimmi, bacelloni di pietra subdolamente sovversivi, che si oppongono con aliena ostinazione ai tentativi di colonizzazione dei nostri eroi. Che girando a bordo del trabiccolo Donna Rachele, hanno ribattezzato il luogo con nomi atti a ricordare i mandanti: il Colle Farinacci e il Cratere Ardito, il Monte Benito e il Mare Roma. Più pacifici ma non meno dispettosi dei famosi ultracorpi del celebre film maccartista anni '50, i Mimimmi paiono immobili ma nottetempo intervengono fulminei a cancellare le citazioni ducesche tracciate da Barbagli-Guzzanti sui muri: «Credere obbedire combattere», «Eia eia alalà», «Chi non muore si rivede», «Crepaccio ma non crollo», «Madame Bovary sono io» (firmato M come Mussolini). Il quale M. non solo è Bovary ma anche presidente astronauta, operaio, ingegnere… Specialista in grandi opere e in prodigi da illusionista, per risolvere i problemi dei figli di una lupa minore ormai a corto di viveri, inventa l’ENFAM (Ente per chi ha fame) poi rapidamente trasformato in ENFAMAD (Ente per chi ha fame adesso), distribuisce tessere annonarie da spendere nel deserto planetario…
Dopo il «miracolo elbano» di Virzì, qui siamo al «miracolo marziano». «Sì, d’accordo, fa venir in mente qualcun altro», ammette Guzzanti. «Ma quello che mi interessava, più che il fascismo era il linguaggio della propaganda inventato allora e usato dai vari cinegiornali. Slogan retorici e vuoti sopravvissuti alla caduta del regime e ancora in vigore nella nostra seconda repubblica». Tradito alle Idi di Marte dai camerati che se la battono a bordo di una moderna astronave guidata da bionde amazzoni che regalano chewing-gum, Barbagli resta solo a presidiare il pianeta. Nei deliri marziani, gli appare un testone del duce che lo insegue lanciando scintille dagli occhi e poi un nero monolite modello 2001 Odissea nello spazio. Forse il segno di un nuovo inizio? Il povero gerarca si avvicina, timoroso bussa contro la scura parete. E parte la solita canzone: «Allarme siam fascisti…!». Di lui sulla rossa sabbia comunista resterà lo scheletro e un elmetto. «Gli altri — avverte Guzzanti nell’epilogo — i voltagabbana buttano le camicie nere e riprendono i loro panni borghesi». «Caduto il regime — ricorda la roboante voce fuori campo — in patria andarono al potere le sinistre, riscrissero la storia a modo loro». E sullo schermo compaiono in foto Andreotti, Forlani, Cossiga. E Licio Gelli. «Adesso — conclude il cinegiornale marziano — voi credete di essere liberi? Prima c’era l’oligarchia, un sistema che opprimeva il popolo. Adesso c’è la democrazia, un sistema che costringe il popolo a opprimersi da sé».