Appena conclusa la visione e provo una forte ambivalenza verso questo esempio di cinema verité.
Da un lato è il droga movie definitivo, e riesce a documentare in modo efficace e molto diretto il mondo (ambienti, situazioni, vissuti emotivi, dinamiche relazionali) di chi è immerso fino al collo nell’utilizzo di sostanze pesanti. La generazione della keta, dell’ero, delle anfe, delle spade.
L’autore fa la scelta di abolire la narrazione e la costruzione del racconto che hanno reso così incisivo, poetico e memorabile Amore tossico. Punta tutto invece sul mostrare senza cnesura alcuna la totalità delle situazioni allucinanti nelle quali si caccia un tossicodipendente; situazioni che però vengono vissute dai protagonisti come una routinaria normalità, diventando azione quotidiana e banale per chi la svolge, creando quindi una cesura netta con lo spettatore medio, che vede queste persone svolgere azioni al di là del bene e del male e non capisce come possano essere la norma per qualcuno.
Questo a mio giudizio il lato positivo del film.
L’aspetto negativo è invece che i protagonisti non sono due tossici qualsiasi ma due tossici “speciali”, due rappusi da quattro soldi che si sono montati la testa e pensano di essere davvero delle personalità eccezionali che custodiscono il verbo e lo elargiscono al mondo. Due ragazzini del cazzo che come tali si comportano, un po’ presuntuosi e spacconi. Il problema principale è che diverse volte durante il film traspare che non sono autentici e spontanei in quello che fanno, che stanno recitando una parte per apparire fighi davanti alla macchina da presa; il che va un po’ ad inficiare il risultato complessivo del lavoro e tutto ciò che di vero, trasparente e genuinamente destabilizzante viene mostrato nel resto del film.
Sta di fatto che resta davvero un boccone un po’ ostico da deglutire per lo spettatore medio: vedere certe sequenze, nelle quali il fulcro della vita sociale è unicamente la ricerca della devastazione e l’annichilimento anche nei rituali sociali come le serate tra amici; nelle quali chiacchere e discorsi validi e perspicaci, riflessioni ed analisi puntuali e profonde, vengono svolte in stati psicofisici pressoché comatosi nella continua reiterazione del rito del buco e dell’autoannullamento.
Il personaggio che mi ha colpito di più è Athos, che compare durante una di queste serate di ordinario sballo tra amici ed appare così tristemente impotente e sofferente nella ineluttabile circolarità della sua oppressiva condizione di tossicodipendenza; così fragile e così vittima di una situazione della quale probabilmente non uscirà mai, e ti chiedi come un animo così sensibile e bisognoso di cura ci sia entrato in questo mondo.
Non capisco ancora se mi sia piaciuto questo film, probabilmente no, ma sicuramente mi ha impattato, valeva la pena di vederlo.
Chissà a distanza di sette anni dall’uscita chi è già morto e chi è ancora vivo…
E chi è ancora vivo chissà in che situazione sta.