Haschich (Michel Soutter, 1968)

Lo immaginavo un film sul maggio '68, sui giovani rivoluzionari, sugli ideali libertari.

Niente di tutto ciò.

La pellicola è un ritratto intimistico e minimalista di una certa gioventù svizzera, di una generazione disillusa che cerca di farsi scudo con degli ideali di sinistra ma che in realtà vive in una generalizzata apatia e narcolessia, incapace di cogliere gli aspetti sapidi ed effervescenti della vita poiché impaludata in seghe mentali cortocircuitanti ed inchiodata a dinamiche interpersonali sterili e futili, in cui autenticità e congruenza vanno a farsi benedire in funzione di un edonismo tanto esasperato e cinico quanto spontaneo ed inconsapevole.

Ne esce il ritratto di una generazione e di un paese che stanno attraversando un’impasse a livello di relazioni umane autentiche ed efficaci, in cui invece l’individualismo e l’edonismo la fanno da padroni.

Non è propriamente il mio genere di film, per quanto interessante ed a suo modo originale l’ho trovato pesante, se dovessi descriverlo per telegramma direi che “ricorda La cinese di Godard (ma in b/n) senza porre accenti sulle implicazioni politiche” STOP.

Nonostante la visione faticosa ci sono due o tre trovate che ho apprezzato molto e un’invenzione leggera ed azzeccatissima che mi ha fatto fare una fragorosa risata di cuore.

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