I cento cavalieri - Vittorio Cottafavi, 1964

I cento cavalieri
di Vittorio Cottafavi

Con:
Mark Damon
Antonella Lualdi
Gastone Moschin
Arnoldo Foà
Wolfgang Preiss
Rafael Alonso

Domenica 25 maggio
Si RaiTre
Alle 02.25

Davvero non male, anche se non è il mio genere.
Un avventuroso/peplum con qualche influenza western (la musica, ad esempio) girato con gran dispiego di mezzi ed una bella ambientazione (spagnola? Boh!). La cornice che apre e chiude la pellicola è divertente, i personaggi meno stereotipati di quanto ci si attenderebbe da un film del genere… solo il procedere della sceneggiatura mi ha lasciato qualche perplessità.

Notevole la Lualdi, sempre di una bellezza mozzafiato; nella mia copia c’è una stranezza, tutta la pugna finale (bellissima) passa dal colore al b/n come farà Tarantino 40 anni dopo per Kill Bill 1. Non so per quale motivo…?

Questo effettivamente è uno dei film che ha sempre diviso i cottafaviani doc: chi lo ama e chi lo odia. A me piace molto, ma ammetto che è uno dei suoi film -come dire?- più “difficili”, non perché sia in qualche modo ostico, ma perché presuppone un coinvolgimento che passa sempre e comunque per la ragione, anche quando si propone di divertire o emozionare. Forse ha ragione Aprà quando scrive che è il suo grande “film malato”, troppo personale per trovare un’espressione veramente compiuta di tutti quei temi che gli stanno tanto a cuore.

Comunque il regista, che in genere si dichiarava insoddisfattissimo dei suoi risultati, l’ha sempre incluso fra le poche opere degne di qualche considerazione… Ne curò anche in prima persona la promozione, realizzando sul set un trailer a dir poco geniale, degno di quelli di Hitchcock, in cui i vari personaggi/attori si rivolgono a un ipotetico reporter raccontandogli lo spirito del film. Non ci si capisce niente, ma sono uno più impagabile dell’altro, specie Arnoldo Foà! :smiley:

nella mia copia c’è una stranezza

E’ uno dei tanti espedienti per così dire “brechtiani” del film, che puntano a straniare lo spettatore dall’azione. Il montaggio frammentario, la musica quasi carnevalesca e il b
, appunto, vorrebbero impedire che lo spettatore si lasci sedurre dal vortice della violenza, mostrata in tutta la sua assurdità. L’espediente a suo tempo venne aspramente contestato dal distributore italiano, tanto che in alcune copie italiane il film è tutto a colori. Cottafavi, fra l’altro, filmerà in uno stile molto simile anche la battaglia di Vita di Dante, girata però chiaramente solo in b
, perché destinata al piccolo schermo.

Comunque le parentele con il western non sono casuali, visto che il film per certi versi eredita alcune idee che Cottafavi voleva effettivamente realizzare in un western, Un metro d’ombra. Un film che, se fosse stato realizzato, avrebbe forse anticipato persino Leone… Ma questa è un’altra storia.

Infatti mi pare di capire per quale motivo il film sia stato un insuccesso; rispetto ai film di quel tipo che uscivano in sala in quegli anni questo ha meno azione, non c’è un eroe nel senso stretto del termine (non lo è Foà, che anzi viene a un certo punto sbugiardato da Moschin, e in sostanza nemmeno Damon anche se è quello che si avvicina più degli altri allo stereotipo).

Mi è molto piaciuto invece l’utilizzo delle comparse nelle scene di massa: come si muovono, le inquadrature… a livello figurativo, intendo.

Sì, e anche quando gira delle sequenze d’azione Cottafavi ci invita comunque a giudicarle a distanza, senza lasciarci travolgere. E’ un film di cappa e spada e, insieme, una critica al cinema di cappa e spada. Un’operazione che, sinceramente, somiglia più a Godard che non a Freda, nel bene come nel male.

Mi è molto piaciuto invece l’utilizzo delle comparse nelle scene di massa: come si muovono, le inquadrature… a livello figurativo, intendo.

Per quanto riguarda le masse, c’è da segnalare che ogni gruppo sociale ha un proprio colore di riconoscimento: i contadini per esempio hanno le tonalità della terra, i monaci il bianco, gli arabi il blu. In questo modo il movimento delle masse è orchestrato quasi come una composizione astratta, e i contrasti sociali si traducono innanzitutto in contrasti cromatici. Senza dimenticare che, durante la battaglia finale, l’azzeramento del colore assume allora un ulteriore significato: davanti alla morte non esistono più né bandiere né classi, solo uomini.

Si può benissimo non amare un cinema così riflessivo, anzi io stesso ho le mie riserve, ma sfido chiunque a trovare un regista italiano di genere che abbia lavorato con la stessa consapevolezza (anche morale) delle proprie scelte.

Nel mio piccolo, questo lo avevo notato; ed avevo pensato istintivamente a Kurosawa come esempio più ovvio… pur senza voler fare paragoni ragionati che non sarei in grado di portare avanti.

Sì, ricordo che anche Tavernier scrisse che nel film c’erano sequenze degne di Kurosawa, riferendosi in particolare a Foà che addestra le sue reclute. Quando però nelle interviste gli facevano osservazioni così, Cottafavi rispondeva sempre schernendosi: “Il mio film somiglia a Kurosawa? Bene, più di così che vuoi dalla vita…” :slight_smile:

Araldo dello Spettacolo, 13 agosto 1964

Per chi non l’avesse mai visto, linko qui sotto il bellissimo trailer “d’autore”, realizzato dallo stesso Cottafavi:
https://www.youtube.com/watch?v=sZyq-yghP-U

//youtu.be/sZyq-yghP-U