Il film è gradevole e si lascia guardare con piacere, mi ha ricordato un po’ il successivo L’italia in pigiama, pur essendo meno sensazionalistico e presentando meno sequenze ricostruite.
Ma il mood è lo stesso, la volontà di mostrare le molte sfaccettature del nostro paese, tra modernità e progresso da un lato, zone rurali dove il tempo sembra essersi fermato dall’altro.
Tradizioni, superstizioni, credenze che colpiscono lo spettatore, rituali quasi tribali che ci si aspetterebbe di vedere in un mondo movie africano, ed invece accadevano proprio qui; nel periodo in cui i nostri cineoperatori iniziavano a scoprire l’africa nera portando alla luce le usanze rurali e tradizionali di popolazioni così altre rispetto alla nostra, Prunas rivolgeva invece il suo obiettivo verso i suoi propri compaesani, scoprendo fra le pieghe e le fessure del nostro veriagato tessuto culturale fenomeni altrettanto mistici, irrazionali, antichi e talvolta crudi.
Mi ha empattato emotivamente la sequenza relativa a Napoli, Piedigrotta ed i fabbricatori di fuochi di artificio. Mi ha colpito etnologicamente (grazie anche all’ottimo montaggio) la sequenza delle prefiche che danzano e cantano attorno al morto. Sono significative le testimonianze di un sud estremamente povero e superstizioso a fronte di un nord che respira già una moderna aria internazionale.
Terribili le feste di paese del sud rurale nelle quali si decapitano con gioia conigli e galline.
Piccola pecca del film il doppiaggio che a volte va a sostituire la presa diretta delle persone intervistate, con risultati poco efficaci (addirittura una volta si piglia un pastore evidentemente sardo e lo si fa parlare in siciliano!).
Mi chiedo che immagine dell’italia dava all’estero questa pellicola, cosa ne pensava del nostro paese lo spettatore che vedeva il film proiettato a Boston o a Denver…
Qual era per lui la differenza tra una popolazione tribale del centro africa e questi italiani, sporchi e vestiti di stracci, che si lanciavano in rituali bizzarri e tribali pure loro.