Ho pescato alla cieca dal ribollente fusto tossico del cinema exploitation filippino dei tempi che furono un altro filmone di Celso Ad. Castillo. Forse è la mia preferita tra le sue opere che ho visto sinora.
Si nota fin da subito una certa eleganza e ricercatezza formale/stilistica, una volontà di realizzare un’opera caratterizzata anche da una cura estetica pur restando nei binari del genere duro e puro. È un po’ il discorso che @A_N faceva in altra sede per il cinema di Joe D’Amato: quello che fa la differenza tra un mestierante qualsiasi ed un autore è proprio questa capacità di andare alla ricerca del bello, dell’elemento in grado di valorizzare l’inquadratura, a prescindere dal contesto all’interno del quale si sta lavorando. Il fatto che non si stia partecipando alla produzione di una pellicola d’essai non implica necessariamente che la messa in scena debba essere frettolosa e tirata via.
Al netto di queste osservazioni, ci troviamo di fronte ad un film di genere ruspante nudo e crudo, nel quale ci si avvale di soluzioni piuttosto grossolane e stereotipate per mantenere lo spettatore in tensione dall’inizio alla fine della pellicola. Devo dire che tuttavia, nonostante fosse tutto già visto e rivisto, ho trovato la maggior parte delle sequenze di suspence piuttosto efficaci ed ho sentito in diverse occasioni dei brividini freddi percorrermi la schiena. Sarà la genuina e manichea cattiveria dello spirito malvagio che vuole mettere in atto la sua maledizione uccidendo la protagonista della pellicola, sarà la recitazione esasperata (da veri alienati) di alcuni attori di contorno, sarà il disagio provocato dalla bambina posseduta dal fantasma della madre che cerca di uccidere la zia con determinata freddezza, sarà il bel montaggio delle scene paranormali… Insomma, il mix di tutti questi elementi è riuscito a farmi passare sopra a soluzioni dozzinali come gli zoom selvaggi sulle vittime urlanti, gli “audio jump scare” ripetuti allo sfinimento e la ridondanza generale di alcune inquadrature, creandomi in diverse sequenze un senso di disagio vero. Anche il plot, malato al punto giusto e con l’utilizzo politicamente scorretto della ragazzina orfana di madre, contribuisce a trasmettere ansia ed una situazione di scomodità.
Il film in fondo resta quello che è, una pellicola popolare di genere dal budget risicato, ma riesce a lasciare un segno in chi la guarda.
Da segnalatre anche il ruolo fondamentale della bambola, che tra bagni di sangue e allucinazioni varie, anticipa in modo sbalorditivo i contenuti e l’iconografia della serie di Chucky la bambola assassina.
Del film esiste anche un remake degli anni '90 che mi è venuta la curiosità di guardare.