Killing Them Sotfly - Cogan (Andrew Dominik, 2012)



Titolo: Cogan (Killing Them Softly)
Regia: Andrew Dominik
Anno: 2012
Paese: Usa
Durata: 97’
Cast: Brad Pitt, james Gandolfini, Ray Liotta, Richard Jenkins
Produzione: Plan B Entertainment

IMDB

A visione finita, avevo la sensazione che mancasse qualcosa :confused: Allora…sicuramente è un’opera post tarantiniana, e si vede, c’è la violenza (pulp), c’è l’ironia, c’è il citazionismo (le canzoni retrò che fanno a cazzotti con la contemporaneità e soprattutto con l’ambiente dimesso e squallido). Per sommi capi il regista Andrew Dominik ci racconta di un bel contesto malfamato e uber accattone, in cui convivono criminalità di piccolo cabotaggio e la mafia con la M maiuscola. Cosa dovrebbe rendere interessante il film è la caratterizzazione dei personaggi, un’atmosfera da diseredati in perenne debito col mondo, i dialoghi, un modo un po’ fighetto di concepire le scene (si pensi allo sballo da eroina del tossico o all’omicidio in auto di Ray Liotta).

Sorprende un po’ la chiusa il dialogo/pistolotto di Brad Pitt sull’America, che è un po’ anche il climax del film. Lì per lì ti lascia monco, ma non è detto sia un male. Quello che invece non mi convince è il film nella sua interezza; pare debba portarti chissà dove, ma in fondo non c’è un vero leit motiv forte, è solo una parentesi che si apre e si chiude senza particolari significati, quasi cronaca pura.
Caruccio, non dico di no, ma anche fine a se stesso. Bravissimo Pitt, pure Gandolfini e gli altri, però Cogan è poco più che un esercizio di stile. E in tal senso, i livelli virtuosistici di violenza che raggiunge sono persino fastidiosi ad esempio nel pestaggio di Ray Liotta.

Visto anch’io ieri sera, piaciuto assai. Un appunto al commento di D-Fens: a mio avviso le canzoni retrò non fanno a cazzotti con la contemporaneità, se si nota il film è un film attuale ambientato nei primi anni 70, o un film anni 70 ambientato nei giorni nostri. Il parallelo tra la decadenza dell’America negli anni 70 (dopo i fasti della Space Age) con la sconfitta in Vietnam, la crisi petrolifera del 73, i reduci, la crisi economica, insomma un’America bigia e triste, grigia e slavata, e l’America attuale (o per lo meno quella del pre Obama) in piena crisi finanziaria, disperata, dove si contratta anche per un killer, è realizzato splendidamente. Tutto parla di “tristi seventies”, dalle macchine all’abbigliamento dei protagonisti, dalle droghe (eroina nel 2000???) agli scenari, persino l’aeroporto dove atterra Gandolfini è molto 70s, quasi a dimostrare che l’America sia rimasta a quel palo, o almeno una certa america disperata (e infatti il film è tutto girato nella povera Luisiana). Solo Bush & Obama in TV (tutte rigorosamente a tubo catodico, non si vede un flat screen che sia uno, l’unica eccezione alla modernità è il gsm che tira fuori Cogan una volta senza peraltro usarlo) ci ricordano che la miseria non è quella dei seventies ma quella attuale. Noir, cupissimo e senza speranza (anzi no, almeno il tossico si salva, il film è un crescendo rossiniano di violenza, con momenti pesantissimi tipo il pestaggio di Liotta, si sentono le ossa spezzarsi fino al culmine col dialogo di Pitt, bellissimo e glaciale, è uno statement, un fatto, non una teoria, come direbbe qualcuno a Cortina “è un teorema”. Grande Pitt, in parte senza strafare, asciutto come il film, mostruoso il compianto Gandolfini (uno dei suoi ultimi film), perfetti Richard Jenkins, Vincent Curatola, Ray Liotta, c’è anche Sam Shepard in un breve cameo.

My friend, Thomas Jefferson is an American saint because he wrote the words ‘All men are created equal’, words he clearly didn’t believe since he allowed his own children to live in slavery. He’s a rich white snob who’s sick of paying taxes to the Brits. So, yeah, he writes some lovely words and aroused the rabble and they went and died for those words while he sat back and drank his wine and fucked his slave girl. This guy wants to tell me we’re living in a community? Don’t make me laugh. I’m living in America, and in America you’re on your own. America’s not a country. It’s just a business. Now fuckin’ pay me.

A me ha fatto questa impressione perché, per quanto il film sia “settantiano” come atmosfere, rimane comunque una storia ambientata nella contemporaneità, questo si percepisce da alcuni dettagli, come tu stesso hai notato, e quindi un minimo di corto circuito con la scelta delle canzoni almeno io l’ho percepito. Il che non è affatto un elemento negativo, ma caratterizzante si, voluto intendo, specifico, che dà una sua cifra al film, anche piacevole. E per altro, la mia frase per intero diceva “le canzoni retrò che fanno a cazzotti con la contemporaneità e soprattutto con l’ambiente dimesso e squallido”, c’è anche quel “soprattutto con l’ambiente dimesso e squallido”; anche qui, estrema cura e raffinatezza nella scelta delle canzoni, ambientazione svaccatissima, gretta e uber proletaria. Un po’ come Tarantino, musica in abbondante conflitto con i personaggi, e proprio per questo “personale” e azzeccatissima perché fortemente caratterizzante.

Fuffa. Tra la parodia involontaria, quando Dominik si mette a fare il maestrino, e il manierismo, quando vuol far vedere quant’è fico. Attori mortificati da una sceneggiatura verbosa (Gandolfini) o dal narcisismo della regia (Liotta). La ciliegina è il predicozzo declamato da Pittin chiusura, momento “scult” di uno dei noir più pallosi e velleitari degli ultimi anni.

Il titolo è un chiaro riferimento agli spettatori di questa immane cagata, infatti il film ti uccide lentamente, senza lasciarti tregua. Una tarantinata wannabee, che solo per provare a paragonarla ad un film di Tarantino lo stesso regista dovrebbe chiedere i danni. Spreco totale degli attori costretti a recitare dialoghi infiniti, ma ahimè senza capo ne coda. Nessuna ironia, nessun pathos, nessuna tensione in un film che si trascina stancamente verso un finale che già si sapeva dopo dieci minuti di visione, ammesso che si sia restati svegli. Non basta una bella colonna sonora e l’opprimente ambientazione, non bastano i ralenti (ma non c’era la stessa scena nella sigla di Lupin III ?) e una dose di violenza spruzzata a caso a salvare una storiella banale, tirata e stiracchiata. Per arrivare alla battuta finale che arriva come una martellata nei coglioni del povero spettatore che si è sorbito un ora e mezza di nulla. Attenzione attenzione, si scopre di colpo, grazie alla lungimiranza del killer a discount, che l’America è piena di contraddizioni, la forma non corrisponde alla sostanza e…tenetevi forte…è tutto basato sul business !!! Quindi se avete delle incrollabili certezze, e non volete scalfirle attenzione al finalone di questa “cagata pazzesca !!!” (cit.)

Rivisto recentemente, dopo una prima visione non molto soddisfacente. La prima cosa da dire è che è praticamente uguale al libro; anzi, vivaddio hanno potato un bel po’ di dialoghi (per me piuttosto noiosi) perché altrimenti per arrivare alla fine ci sarebbero volute 2-3 flebo (sempre per me, ovviamente). Per dire, nel libro, prima del pestaggio di Markie Trattman, bisogna sorbirci non so quante pagine di discorsi tra Steve & Berry così come paginate di stronzate tra Russell & Kenny Gil…

il discorso della “tarantinata” lascia un po’ il tempo che trova poiché non è che 'sta roba la inventata mr. Quentin: lui si è solamente limitato a farla diventare “di moda” (tanto di cappello, ci mancherebbe) ma i libri erano già lì da decenni, pronti da essere letti e trasposti in pellicola.

La trama c’è, ma è solamente grazie a Brad Pitt che il film riesce a prendere quota e soprattutto ad evitare lo schianto rovinoso; se possibile, la sua presenza riesce persino a migliorare il corrispettivo personaggio cartario. Gandolfini è l’altro grande attore che riesce a donare una degna caratterizzazione. Fa piacere poi rivedere Liotta (poraccio, che bòtte) e Curatola-scoiattolo.
Tutto il sotto testo dei continui discorsi sullo stato di salute economico degli USA non è presente nel libro, così come il pistolotto finale di Pitt che -se pur corretto- m’è parso una sparata così, tanto perché il regista volesse fare il figo nel toccare certi numi tutelari a stelle&strisce. Secondo me il film -così com’è- non ha la capacità di sostenere questa pseudo allegoria di crisi americana di valori o economico o chissà che.

Come per D-Fens, non m’è parso altro che un gradevole esercizio di stile (e non c’è niente di male), con buone caratterizzazioni e 2 ottimi attori che riescono a mantenere l’interesse vivo per tutta la sua durata.

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