LA CATENA DELL'ODIO (Piero Costa, 1955)

La storia del cinema offre ancora molti territori da esplorare, soprattutto il cinema di genere degli anni '50, settore totalmente e colpevolmente ignorato dalle nuove (ma ahimè anche vecchie) generazioni di appassionati e sedicenti esperti di cinema bis. Dopo questo (doveroso) pistolotto didascalico, accenno a una delle storie più curiose (e sepolte) in cui mi sia imbattuto di recente.

Questo film raro e per molto tempo invisibile (ma recentemente è stata telecinemata la copia-legge) cela alcuni risvolti produttivi molto più interessanti del film stesso. Ne accenno brevemente perché sono molto curiosi. Un trio di improvvisati produttori, di cui poi non si sentirà mai più parlare, fonda un’estemporanea società per produrre un film alquanto anomalo nel cinema italiano di quell’epoca. L’intento è di presentarlo come un melodramma di quelli che avevano tanto successo in quegli anni, ma utilizzandolo come involucro di una storia di lavoratori sfruttati e padroni sfruttatori, argomenti che, come è noto, erano molto delicati da trattare in quegli anni di occhiuto potere democristiano. Qualcuno, addirittura, sussurrò all’epoca di film filo-comunista, e “L’Unità” arrivò a vedere nel film “elementi notevolissimi”. Peccato però che il vestito melodrammatico finisca per soffocare e sopprimere il discorso “politico”, il quale si risolve con toni paternalistici e sentimentali (i lavoratori alla fine tornano al lavoro cantando…).

Ma la vera curiosità del film è altrove: il regista è infatti l’ex fascista salotino Piero Costa, chissà come finito a dirigere un film schierato dalla parte opposta, e il ruolo del cinico e malvagio sfruttatore degli operai è sostenuto dal (bravissimo) attore americano Marc Lawrence, che - come noto - era stato espulso da Hollywood proprio per le sue posizioni comuniste. E non parliamo di posizioni genericamente “liberal” e progressiste (come per la maggior parte delle vittime del maccartismo), bensì di idee di sinistra radicali, cosa che lo estromise dalle produzioni che contano e che lo costrinse a riparare in Italia, dove prese parte a una manciata di film nel ruolo del malvagio di turno. Produzione molto strana, dunque: un regista fascista che dirige una storia filo-comunista e un attore comunista che interpreta un bieco affamatore di operai, di quelli che all’epoca i giornali di sinistra definivano “fascisti”.

Che il film avesse ambizioni politiche è reso ancor più manifesto da come viene dipinta la padrona della cava, interpretata da Hélène Rémy: un’insopportabile viveuse che se ne frega letteralmente se i suoi operai muoiono di fame e che decide di aiutarli solo perché si innamora dell’ingegnere che li difende (quando intende lasciarlo torna a lavarsene le mani dei lavoratori). Una che verrebbe voglia di entrare nello schermo e prenderla a calci nel sedere…

Film strano, non riuscito, a tratti ridicolo, ma con un’ambizione irrisolta di fondo. La società dei tre produttori durerà lo spazio di un mattino: appena due anni dopo l’uscita del film la compagnia era già fallita. Questa è solo una delle tante storie che si celano dietro ai film di quell’epoca ancora così poco studiata.

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Suona tutto molto curioso. In quanto a Lawrence,non credevo fosse così “a sinistra” (pure troppo, forse…:smirk:). Ci si potrebbe fare un film, sui retroscena di tale opera. Ma qualcosa tipo “Il ritorno di Cagliostro”: fra produttori cialtroni, regista fascio, attore comunistone, e risultati non all’altezza delle ambizioni, c’è da divertirsi…:crazy_face::wink::cocktail:

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Molto interessante.
Il film dove si può vedere?

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@nicky90
Si può chiedere al Csc la copia screener con il watermark a tutto schermo, impegnandosi a non farla circolare. Purtroppo la visione è molto faticosa perché al centro c’è appunto il logo enorme del Csc, in alto c’è il timecode e in basso ci sono i sottotitoli fissi tedeschi e francesi. Bisogna essere molto motivati per vederlo in queste condizioni.

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