La cinquième saison - La quinta stagione (Peter Brosens, Jessica Woodworth, 2012)

  L'inverno è ormai alle porte, le prime giornate calde bussano timidamente e nel piccolo paese delle Ardenne si        parte con i preparativi per l'avvento della stagione più        rigogliosa, la primavera. I riti che vengono effettuati sono un        retaggio di antichissime usanze pagane che cinematograficamente        parlando si riallacciano con il celebre uomo di vimini del The        Wicker Man.
Ma purtroppo qualcosa va storto, il        fuoco non nasce e il declino sociale della piccola cittadina        comincia la sua lenta ma inesorabile discesa... Se la terra muore anche la gente e la società che la regna tende a seguirla ed è così che le piccole storie delle famiglie crollano e con loro tutta la comunità. Seppur ricca di riferimenti simbolici e con un substrato culturale molto elevato questo bellissimo film della coppia Brosens Woodworth ha un piano narrativo piuttosto semplice. La sua ricchezza sta nella elaborata messa in scena, sembra quasi di assistere alla spettacolarizzazione di opere di Hieronymus Bosch e Brueghel per certi versi, la fotografia è cupa al punto giusto, un'aria da favola nera ed una lentezza da serata attorno al fuoco. 

Come stile mi ha ricordato un connubio tra lo stile asettico e ‘fermo’ di Roy Andersson e il cinismo di Ulrich Seidl ma tutto sommato riescono a raggiungere una propria personalità nonostante i riferimenti pesanti. Molto forti anche i riferimenti al The Wicker Man anche se in questo caso c’è un impianto narrativo totalmente differente ma chi è attratto dal cosidetto filone folk horror potrebbe trovarlo di proprio gradimento.

Visto nell’ottimo DVD olandese ma uscirà anche da noi a fine mese (fonte Amazon)

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Scopro solo ora che ha avuto anche una distribuzione italiana, in effetti è uscito in dvd ed è disponibile su primevideo.

Il film mi è piaciuto. Nei primi 20 minuti assistiamo ad una dettagliata descrizione di questo paesino rurale in cui i ritmi degli uomini procedono ancora di pari passo con i ritmi della natura, osservando la vita di questa comunità di agricoltori ed allevatori ed gli stretti legami che intercorrono tra di essi e la terra e gli animali.
L’affresco di questa armonia viene dipinto con ritmo lento ed avvolgente, con inquadrature lunghe ed intense, che invitano ad osservare i dettagli ed ad immergersi nel mondo che viene raccontato.

A un certo punto però qualcosa cambia, la primavera arriva ma il meccanismo del ciclo delle stagioni sembra essersi inceppato: i fiori non sbocciano, i semi non germinano, gli alberi muoiono. Di più: le api hanno abbandonato le arnie, le mucche non danno più latte, i pesci muoiono nei fiumi. I mesi passano ma la situazione non cambia. Il ciclo delle stagioni sembra essersi inceppato: freddo, vento, pioggia e neve continuano a dominare il paesaggio morto della campagna.

Chiaramente anche i rapporti tra gli esseri umani si deteriorano, la frustrazione e gli stenti economici generano rabbia, invidia, rifiuto del diverso e del debole. L’utilitarismo e l’individualismo sostituiscono le dinamiche di reciprocità, rendendo i cuori aridi come il territorio nel quale si ritrova a vivere questa triste umanità.

Il film è l’ultimo capitolo di una sorta di trilogia incentrata sul rapporto tra natura ed uomo, comprendente Khadak (ambientato nelle steppe della Mongolia) e Altiplano (girato nelle Ande); mi riprometto di recuperarli in futuro.

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