Film davvero sui generis, nel quale Rollin, probabilmente consapevole di essere prossimo alla fine, riprende le fila di tutto il suo percorso cinematografico e letterario, in una sorta di testamento poetico affascinante e visionario.
Assistiamo alla strenua ricerca di Ovidie, che vaga in cerca dell’alter ego del regista, Michel Jean (notare l’assonanza con lo pseudonimo usato da Rollin per i suoi film hard, Michel Gentil), apparentemente defunto, ripercorrendone le tracce attraverso i luoghi simbolo della sua opera cinematografica: il cimitero di Père-Lachaise, la spiaggia di Dieppe, mi è sembrato di riconoscere anche la villa di Fascination. Nel suo cammino viene guidata da un susseguirsi di apparizioni fantastiche e oniriche (sogni o fantasmi? reali o immaginate? viventi o trapassate?): si tratta dei personaggi creati dalla mente del regista, tanto cari al loro autore, e che sopravvivono anche alla sua morte, che forse è solo una scomparsa, in un attesa forse eterna (ma forse no) del suo ritorno. Conducono Ovidie verso di lui, attraverso il mondo reale che serba la sua memoria, in luoghi ed edifici che parlano di lui, nei quali egli ancora vive attraverso la memoria degli oggetti che gli furono cari: libri, fotografie, scenografie, costumi, oggetti simbolici della sua poetica e del suo immaginario. Ma la guidano verso di lui anche attraverso il mondo fantastico, al quale si accede varcando la soglia, ovviamente, di un orologio a pendolo.
Rollin gioca a cavallo del limine tra realtà e finzione, facendoci percepire i suoi personaggi, compresa la stessa Ovidie, a volte reali, a volte immaginari, impotenti interpreti dell’ultimo copione che Michel Jean ha battuto a macchina e che si sta svolgendo ora sotto i nostri occhi.
Il film è un pregevole intarsio di citazioni dirette ed esplicite, non solo alle pellicole e ai volumi più rappresentativi dell’immaginario poetico del regista, ma anche a tutti quegli autori, quelle opere, quei racconti, quelle riviste, quelle persone, quegli amici che l’hanno influenzato e suggestionato. Da Jean Renoir a Bo Arne Vibenius passando per Ado Kirou. Rollin regala anche dei magnifici cameo ad alcuni suoi attori feticcio, come Jean Pierre Bouyxou, il quale confronta la sua immagine di oggi con la sua immagine di un tempo prima di partire, attraverso un orologio a pendolo, alla ricerca della pellicola perduta di L’itinéraire marin.
Nel finale Ovidie, il cui percorso sulle tracce del regista si sta ormai trasformando in un incubo, rinchiude nell’orologio a pendolo il personaggio che incarna la custode della memoria di Michel Jean e gli da fuoco. Successivamente la troviamo a vagare nuovamente per il cimitero di Père-Lachaise, non ricordando più il nome della persona che cercava, non ricordando nemmeno più il proprio nome: alla ricerca della tomba del regista, che non riuscirà mai a ritrovare, nella speranza di poter leggerne il nome nell’incisione nel marmo per così ricordarsi, forse, anche il proprio.
Come dire, mi ricorderete attraverso il mio immaginario e il mio mondo poetico, se li dimenticherete annienterete anche una parte di voi stessi.
Spesso durante la visione ho temuto che il film stesse per diventare troppo sbilanciato e autocelebrativo, perdendo così il suo fascino poetico, ma invece l’equilibrio regge e la storia, per quanto personale e autobiografica, non smette mai di trasmettere anche un significato universale.
Ho visto il film nel dvd allegato all’edizione limitata dell’autobiografia del regista Moteur/Coupez!, la qualità del riversamento non è delle migliori, è uscita però anche una release ufficiale in francia e penso/spero che la resa audio/video di quest’ultimo dvd sia più soddisfacente.
Un plauso alla sequenza girata all’interno del museo della Specola a Firenze (che non conoscevo e che visiterò alla prima occasione): una location unica e suggestiva per una sequenza dal fascino morboso e ammaliante.